Intercettazioni. Il ddl Alfano, Berlusconi e il ritorno di Mussolini

di Marco Benedetto
Pubblicato il 22 Maggio 2010 - 09:54| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Mussolini, all'epoca in cui istituì l'Albo dei giornalisti

L’anniversario, il ventiduesimo, della morte di Enzo Tortora, è stato ricordato solo dai radicali e questo la dice lunga sul reale interesse dell’establishment (politici, “società civile”, grandi giornali) per la giustizia.

Il caso di Tortora è una macchia della storia d’Italia, quasi un Sacco e Vanzetti senza sedia elettrica.

La ricorrenza ha coinciso con l’esame al Senato del controverso disegno di legge sulle intercettazioni, che rappresenta, sia per la sua stessa esistenza sia per le ragioni che l’hanno motivato, un sintomo della distanza fra il sistema giudiziario italiano e quelli di altri paesi che di solito vengono presi a riferimento.

Nella polemica che divampa in queste ore, tutti hanno una loro agenda, tutelano un loro interesse, più o meno particolare, più o meno generale. Certo, al governo di noi cittadini importa poco: importa che sia impossibile anche soltanto parlare delle porcherie che possa compiere o anche delle scempiaggini indegne che possa dire incautamente al telefono Sua Signoria o uno di Lor Signori.

Con una capriola e un doppio salto mortale, invece di pretendere da chi ci governa comportamenti esemplari, non solo di fronte ai codici ma di fronte alle normali regole di civiltà, si vuole garantire l’esenzione dei potenti dal ticket: noi facciamo quel che vogliamo e voi zitti, testa a cuocere, votateci e non disturbate il manovratore. Ridateci Franceschiello: c’era più rispetto per i poveri guaglioni.

Stiamo tornando ai tempi di Mussolini. Gli strumenti ci sono tutti, anche l’Ordine dei Giornalisti, che nel disegno della legge Alfano diventa uno strumento repressivo fondamentale e che la sinistra, quando è stata al governo, colpevolmente ha lasciato in piedi, insieme con tutte le altre leggi repressive fasciste sull’informazione. Sono testimone diretto di tale miopia e tanta stupidità, volute e deliberate.

Ho anche il sospetto che maggioranza e opposizione, siano oggettivamente collusi sulle intercettazioni e che sia in atto un teatrino a nostro uso e consumo. Non posso dimenticare che quando Repubblica ebbe l’ardire di parlare di una intercettazione che lo riguardava, senza peraltro infierire, una persona brava e perbene come Piero Fassino, che è stato forse il migliore segretari del suo partito dopo la fine del comunismo (se contano i risultati, è stato l’unico a vincere qualche elezione, come ad esempio in Friuli Venezia Giulia, secoli fa), si mise a strillare di “emergenza informazione”.

Il primo disdegno di legge in materia, firmato Mastella, risale al governo di Romano Prodi. Berlusconi si è limitato a metterci una dose mortale.

Naturalmente Bersani minaccia ostruzionismo, giustamente il sindacato dei giornalisti si agita, minaccia un inutile se non dannoso sciopero, ma a Berlusconi basterebbe un colpo di fiducia per far prevalere la sua volontà.

Qualche speranza invece può venire dalle tensioni dentro la maggioranza. Ci sono poi voci di solito istituzionalmente silenti come quella del capo della Polizia, Antonio Manganelli, che si fanno udire, sommesse, istituzionalmente corrette, ma dure e taglienti, preoccupate e preoccupanti.

La marea sta montando ed è difficile prevedere come finirà. Berlusconi è un furbacchione, bravissimo nel tirare i calci di rigore. Può avere calcolato tutto e aver finto di volere una cosa, spingendo tutti ad accanirsi in una direzione, per potere raggiungere senza difficoltà il suo vero obiettivo. Un sintomo è che ha già cominciato a lamentarsi, tipico segnale che invece è molto soddisfatto.

Se la legge passasse come è stata proposta, l’Italia rischierebbe di diventare un paese di desaparecidos, perché una delle proibizioni introdotto è che non si può dare nessuna notizia di un arresto fino a quando il difensore dell’arrestato non abbia avuto conoscenza dell’accusa.

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Colpisce che giornali spesso così distanti come Repubblica e il Giornale siano concordi nel condannare le pene detentive per i giornalisti che pubblichino intercettazioni che non vanno pubblicate. E hanno pienamente ragione. Ma proprio perché su questo tema hanno scritto con grande abilità e competenza dei piccoli titani del giornalismo, non aggiungerò altro.

Vorrei invece cercare di capire come siamo arrivati a questo, non tanto ricostruendo le vicende degli ultimi anni, che tutti abbiamo benissimo presenti, con colpe ed errori anche da chi oggi oggettivamente si trova dalla parte della ragione.

Vorrei cercare una risposta a queste domande: come è stato possibile, cosa ci ha portato a questo punto, in che modo si è sviluppata la anomalia italiana?

Ci proverò, nel successivo commento.