Il ferragosto di vacanza-lavoro di Bossi: il partito del Nord non va in ferie

Pubblicato il 19 Agosto 2010 - 11:27 OLTRE 6 MESI FA

Il compleanno di Giulio Tremonti, certo, l’abbraccio dei valligiani adoranti, le sospirate vacanze: eppure, il ferragosto di marca leghista spicca per esuberanza dialettica, il Senatur a dispetto della malattia appare come il più lucido a disegnare scenari, a prevenire ostacoli, insomma a far politica. Il modesto hotel tre stelle di Calalzo di Cadore è diventato la sede ufficiale da cui quello che ormai viene considerato l’azionista di maggioranza del governo, l’asse Tremonti-Bossi appunto, dirama i dispacci operativi alle truppe, i messaggi alla nazione padana. Folklore? Sì, molto, tra bicchierate, canti notturni e nostalgie dei bei tempi andati, ma intanto il partito del Nord si mostra compatto e preparato ad ogni evenienza. Crisi al buio, elezioni anticipate, prosecuzione della legislatura, per ogni opzione c’è una strategia. Il conflitto a bassa intensità, tra Fini e Berlusconi, a colpi di dossier, killeraggio mediatico, minacce, accuse e ritrattazioni serve a riempire i giornali ma dietro non c’è un popolo, un’idea generale, la difesa di interessi certi e visibili sul territorio.

Nel frattempo una kermesse locale come il Berghem Fest annuncia la presenza dello stato maggiore della Lega al completo (i ministri Roberto Calderoli e Roberto Maroni), il comizio di sabato di Bossi e l’intervento del titolare dell’Economia. Una sagra di provincia la considerano i big della politica, che mentre il paese non sa a che santo votarsi, sono dispersi e ammutoliti ma abbronzati come bagnini.

Con il consueto forbito eloquio oxfordiano, Bossi  mette in fila i problemi in agenda. Primo, rendere ancora più solido il legame con Tremonti: l’omaggio di una “Storia di Roma” di Montanelli (“il nemico bisogna conoscerlo”) significa, senza mezzi termini, stai lontano dai giochi di palazzo. Niente guida di governi alternativi o sponda di esecutivi tecnici. E Bossi non dimentica che Fini approfittò del suo improvviso ictus per convincere Berlusconi a togliere di mezzo Tremonti. Secondo, il rapporto con il presidente della Repubblica: nessun attacco indiscriminato, massimo rispetto, ma la convinzione che di fronte al fatto compiuto il capo dello stato sarebbe obbligato a sciogliere le Camere. In caso di crisi Napolitano, ragiona Bossi, “non troverà una maggioranza alternativa, alla fine chiamerà me e Berlusconi proponendoci una soluzione a cui noi diremo no. Non c’è nessuno così pirla da fare un governo senza voti”. In caso di voto, giura Bossi, “al nord vinco io e al sud Berlusconi”. E addio Fini, che si sarebbe dovuto dimettere da un pezzo, essendo stato sfiduciato dal suo stesso partito.

Terzo, il federalismo: non si considera a sufficienza il ruolo dell’ex consigliere Rai in quota Lega, Sandro Petroni, anche lui presente al convivio di Calalzo, una investitura pesante. Il professore di epistemologia è un esperto di federalismo, ha scritto libri importanti sul tema, auspica un’Europa più forte che si compatta sull’idea dei popoli che la compongono più che gli stati. Rilevante è il fatto che Petroni fa parte del board dell’Aspen Institute presieduto da Tremonti, ha scritto per la casa editrice del Mulino vicina a Prodi, è amico di D’Alema dai tempi dell’università a Pisa, ha relazioni consistenti e trasversali. E’ stato quindi promosso a consulente privilegiato per l’attuazione del federalismo e può trattare per conto della Lega in qualsiasi scenario politico eventuale.

Quarto, l’offensiva, questa sì ancora un po’ troppo folkloristica nella forma, sui magistrati. Calderoli, spalleggiato pubblicamente da Bossi, ha annunciato la creazione della Scuola nordista di avviamento alla magistratura. Nulla di eversivo, si schermiscono i big leghisti, o fuori della legge. Ma le parole di Bossi, “i magistrati si fanno i c… loro, noi i nostri”, segnala la fine di un feeling che pure c’è stato, in tema di legalità. Vogliono che in Lombardia, per esempio, esercitino magistrati lombardi, di meridionali in casa loro ne hanno abbastanza. Anche questa, in fondo, è un’aspirazione federalista.