Jobs Act. Settembre, voto verità su art. 4, codice del lavoro semplificato

Pubblicato il 28 Agosto 2014 - 07:54 OLTRE 6 MESI FA
Jobs Act. Settembre, voto verità su art. 4, codice del lavoro semplificato

Maurizio Ferrera: sul Jobs Act Matteo Renzi non può fallire, ma gli ostacoli sono molti

ROMA – Riuscirà Matteo Renzi a far passare la riforma del Lavoro, il Jobs Act

“superando le resistenze del sindacato e di una parte del Pd?”

si è chiesto Maurizio Ferrera sul Corriere della Sera del 21 luglio 2014.

La domanda non è tanto per dire. Alla base c’è una certa preoccupazione: in gioco è la credibilità di Matteo Renzi e dell’Italia dietro a lui, in Europa.

In Commissione al Senato si avrà il voto finale a settembre e se il Jobs Act fosse fermato “sarebbe un gran brutto segnale”.

Il Jobs Act, ricorda Maurizio Ferrera, che professore ordinario di Scienza Politica presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Milano,

“è stato presentato come un provvedimento capace di aggredire, questa volta davvero, i problemi strutturali, inclusa la rigidità in uscita. Sono finora seguite due iniziative concrete:
1. il decreto Poletti sui contratti a termine;
2. il disegno di legge delega sul mercato del lavoro.
È proprio su quest’ultimo che il governo deve giocare bene le sue carte. Il testo contiene novità promettenti sugli ammortizzatori e sulle politiche attive.
Ma il vero nodo è l’articolo 4 della delega, dove si prevede una drastica semplificazione del codice del lavoro, rendendolo finalmente certo e comprensibile.
Verrebbero inoltre introdotti
1. un contratto di lavoro a tempo indeterminato «a tutele crescenti» in sostituzione dell’attuale disciplina;
2. un «contratto di ricollocazione» per accompagnare i lavoratori nella transizione da un posto ad un altro.
Queste innovazioni cambierebbero in modo virtuoso gli incentivi per imprese e lavoratori e segnerebbero una inequivocabile svolta rispetto al passato”.

L’articolo 4 della legge è il nodo,

“la forca caudina sul piano politico. Ma se Renzi non sarà capace di attraversarla, la sua credibilità riformatrice ne uscirà indebolita. Forse irrimediabilmente”.

Di questo l’Italia non ha bisogno:

“Il credito che Matteo Renzi si è guadagnato a Bruxelles è in buona parte dovuto agli impegni presi sul fronte dell’occupazione”.

Il mercato del lavoro, ricorda Maurizio Ferrero, “funziona malissimo e ostacola la crescita” e le conseguenze sono nei numeri:.

“Su cento italiani fra 20 e 64 anni, meno di 60 hanno un’occupazione. In Germania sono 77, nel Regno Unito 75, in Francia 70. […] Nello scorso maggio si sono creati 50 mila nuovi posti di lavoro, ma nello stesso mese la Germania ne ha creati quattro volte di più. […]
I problemi «strutturali» del mercato del lavoro italiano sono noti. I servizi per l’impiego sono inefficienti e molte imprese non trovano persone con le qualifiche richieste.
La cassa integrazione tiene artificialmente in vita aziende e posti di lavoro decotti, mentre gli ammortizzatori sociali non proteggono adeguatamente i veri disoccupati.
Fisco e burocrazia scoraggiano gli investimenti, in particolare dall’estero.
E, soprattutto, i rapporti di lavoro sono disciplinati da una giungla di norme e di fattispecie contrattuali, peraltro soggette a continui conflitti interpretativi”.

Dal 1996 ad oggi sono state fatte tre grandi riforme, ricorda Maurizio Ferrero, che portano la firma di Tiziano Treu, Marco Biagi e Elsa Fornero, ma il bilancio è stato modesto:

“Grandi ambizioni, misure non all’altezza degli obiettivi, applicazioni incomplete, niente valutazione. E nessuna modifica (o quasi) alla disciplina del lavoro a tempo indeterminato, risalente ai primi anni 70”.