Lega Nord, pentito a pm: “L’ndrangheta tiene in mano il partito”

Pubblicato il 11 Maggio 2012 - 22:48 OLTRE 6 MESI FA

MILANO, 11 MAG – ''Il partito che odia i terroni ce l'abbiamo in mano''. E' la frase che, stando al racconto di un pentito di 'ndrangheta, avrebbe pronunciato, circa 6 anni fa, un boss della mafia calabrese nel corso di un summit con i rappresentanti di altre 'famiglie'.

E l''anello di congiunzione' tra gli interessi delle cosche e persone vicine al Carroccio, sempre stando alla versione del collaboratore di giustizia, sarebbe stato l'uomo d'affari genovese Romolo Girardelli, indagato per riciclaggio assieme, tra gli altri, all'ex tesoriere della Lega Francesco Belsito, nell'inchiesta della Dda di Reggio Calabria.

Lo scorso 27 aprile, il pentito Luigi Bonaventura -che e' stato reggente dell'omonima cosca del Crotonese e che collabora con la giustizia dal febbraio 2007 – si e' seduto davanti al pm reggino, Giuseppe Lombardo, sentito come persona informata sui fatti. La Dda calabrese, infatti, nell'ambito delle indagini sui fondi del Carroccio che interessano anche le Procure di Milano e Napoli, sta approfondendo il 'filone' di un presunto riciclaggio messo in piedi forse con la commistione di soldi sporchi della 'ndrangheta e di denaro proveniente dalle casse del Carroccio. Bonaventura, 40 anni e che ha gia' collaborato in altre indagini con altre Procure, proprio alla luce di quanto affermato a verbale negli scorsi anni e nell'ultima audizione, ha fatto presente agli stessi inquirenti, attraverso l'avvocato Giulio Calabretta, ''l'assenza di tutele'', cosa che aveva gia' 'denunciato' anche in passato.

Malgrado, infatti, sia sotto protezione, come ha chiarito il suo legale, ''non ha una scorta personale, se non quando si sposta per gli interrogatori, vive ancora in Calabria e i suoi familiari non sono per nulla protetti''. Tutto cio' ''nonostante abbia raccontato molte cose sui De Stefano e sia scampato gia' a un attentato''. Proprio la cosca dei De Stefano e' 'centrale' infatti nell'inchiesta condotta dalla Dia di Reggio Calabria e lo stesso Belsito e' accusato di aver 'ripulito' denaro con l'aggravante di aver favorito il clan, assieme a Romolo Girardelli, il procacciatore d'affari genovese che nelle intercettazioni viene definito 'l'Ammiraglio'.

Nel 2006, ben 4 anni prima che Belsito arrivasse a gestire la tesoreria della Lega, in un pranzo a Crotone – stando al racconto di Bonaventura – a cui parteciparono rappresentanti delle cosche Nicoscia, Coco Trovato, Russelli, tutti clan della 'corrente De Stefano', il boss Pasquale Nicoscia, che poi si trasferira' a Milano, parlava di Girardelli chiamandolo ''Romolino''. E in quell'occasione il boss avrebbe sostenuto che le cosche radicate al Nord ''teneva in mano'' la Lega, proprio attraverso ''Romolino'', che veniva 'gestito' dalla 'ndrangheta. E in altri summit, sempre stando alla versione di Bonaventura, si sarebbe parlato anche di operazioni di riciclaggio per ''70 milioni di euro''.

Bonaventura ha spiegato anche come la 'ndrangheta e le cosche vicine ai De Stefano fossero riuscite a 'sbarcare' a Genova: era successo quando lo zio del stesso pentito, Gianni Bonaventura, era stato mandato in soggiorno obbligato in Liguria. La', sempre secondo le parole del collaboratore, il boss aveva conosciuto Girardelli. Proprio l''Ammiraglio', dunque, secondo Banaventura, sarebbe stato il 'contatto' che la 'ndrangheta avrebbe speso per 'agganciare' persone vicine alla Lega, anche prima dell''avvento' di Belsito. Bonaventura ha spiegato agli inquirenti anche di essere andato a Reggio Calabria piu' volte con suo zio e con il presunto boss Tonino Vrenna e di aver parlato anche in quelle occasioni del ruolo di Girardelli.

L'avvocato Calabretta ha voluto chiarire che il collaboratore ha anche ''riferito alla Procura di Reggio Calabria circostanze di cui aveva gia' paralato nei primi sei mesi della collaborazione e che aveva gia' approfondito con la Procura di Bologna''. Bonaventura pero' ''non puo' continuare ad approfondire dettagli e particolari se e' completamente abbandonato a se stesso. Non ha certezza alcuna – conclude il legale – su quale potrebbe essere il suo futuro, non ha tutele per i suo figli e per se'''.