Ai soldi… Siam leghisti: 16 storie di padani che sbagliano

di Antonio Sansonetti
Pubblicato il 12 Marzo 2012 - 16:37 OLTRE 6 MESI FA

Lapresse

C’è una questione morale con cui la Lega Nord deve fare i conti, una questione che prescinde dall’andamento dei numerosi processi in cui sono coinvolti amministratori leghisti e dalla doverosa presunzione d’innocenza. Ridiventata partito di lotta a livello nazionale, la Lega è ancora partito di governo a livello locale e proprio in Regioni, Comuni e Province sconta le tentazioni del potere. Il bergamasco Paolo Berizzi su Repubblica ricostruisce 16 storie di “padani che sbagliano”. Non tutte, va detto, sono storie che hanno portato a condanne definitive, la gran parte sono indagini e processi in corso. Ma sono esemplificative, perché quasi tutte recenti.

Quasi tutte tranne una, quella di Alessandro Patelli, tesoriere della Lega che nel 1993 prese una tangente di 200 milioni dalla Montedison: era un pezzo della maxi tangente Enimont, madre di tutte le mazzette che portò a un processo che vide sul banco degli imputati tutti i partiti della prima Repubblica. E la Lega, nella persona del suo segretario Umberto Bossi, che in tribunale ammise di aver preso quei milioni dalla Montedison. Una “pirlata”, chiosò Bossi che in quei mesi faceva manifestazioni per il pool di Mani Pulite e portava cappi in Parlamento. Ma una “pirlata” sintomatica, che gli costò una condanna definitiva ad otto mesi e una “macchia” sulla camicia verde.

Diciotto anni dopo, le storie di bustarelle che riguardano leghisti hanno contesti da cronaca spicciola. E’ il caso datato aprile 2011 di Mauro Galeazzi e Marco Rigosa, assessori di Castel Mella (Brescia), accusati essersi fatti dare 22 mila euro da un costruttore per “semplificargli” l’accesso a un appalto. La Lega li sospese. Dagli assessori di un piccolo comune a un deputato “maroniano”: Gianluca Pini, che secondo la procura di Forlì avrebbe ricevuto 15 mila euro da un avvocato che voleva superare il concorso da notaio. L’onorevole leghista è indagato per millantato credito.

Se la accuse contro Pini sono ancora tutte da dimostrare, non lo sono quelle contro David Codognotto, 31 anni, all’epoca dei fatti assessore a San Michele al Tagliamento (Venezia). Nel settembre 2010 i finanzieri l’hanno colto in flagranza di reato (concussione): aveva chiesto al Portogruaro calcio 15 mila euro, in cambio lui avrebbe assicurato la sponsorizzazione del Comune alla squadra. Aveva dato istruzioni precise: lasciare nella sua macchina – appositamente aperta – la mazzetta, mentre lui avrebbe controllato l’operazione dalla sua finestra in ufficio. Con i soldi in auto, Codognotto ha fatto scattare la chiusura delle portiere col telecomando direttamente dalla sua scrivania. Ma, sceso nel parcheggio a controllare la somma, si è ritrovato circondato dagli uomini della Guardia di Finanza. La Lega, poi, lo ha espulso.

“Cose” piccole e “cose” grosse. Il senatore vicentino Alberto Filippi è accusato di essere coinvolto in una maxi evasione fiscale da 200 milioni di euro scoperta dai finanzieri nel “distretto delle concerie” e di avere alimentato un giro di tangenti. Per lo stesso motivo nel marzo 2011 si è dimesso Massimo Signorin, vicesindaco di Arzignano e titolare di una conceria: era indagato per evasione fiscale totale e distruzione di documenti contabili.

Indagini in corso e condanne già incassate, come quella all’architetto Enrico Cavaliere, ex presidente del consiglio regionale veneto, che per il crac di un villaggio vacanze in Croazia si è beccato una condanna a due anni e tre mesi per bancarotta fraudolenta.

Il campionario dei reati e delle accuse è molto vasto. Un capitolo Berizzi lo dedica a un vizio di Roma magnona (per non parlare delle amministrazioni meridionali) che sembra aver attecchito abbondantemente anche al di qua del Po: le spese allegre con i soldi pubblici. Si inizia dall’estremo Nord-est, con Edouard Ballaman, ex presidente del consiglio regionale friulano che ha lasciato l’incarico dopo che la Corte dei conti gli ha contestato una settantina di viaggi di piacere con l’auto blu. Ci si sposta nella provincia di Mantova, con Angelo Lusetti, il vicesindaco di Guastalla espulso dal partito per “indegnità morale” per “colpa dei cani”, scherza Berizzi. Commissario ad acta dell’Ente nazionale per la cinofilia, ha disposto bonifici a se stesso per 187 mila euro, oltre a consulenze a amici per 1 milione e 700 mila. Si scavalla il Po e si arriva a Piacenza, dove la procura ha chiesto l’arresto per l’ex assessore provinciale all’ambiente di Piacenza, Davide Allegri: concussione e abuso di ufficio nell’ambito delle autorizzazioni all’installazione di impianti fotovoltaici.

Spese allegre alla “terrona” e altre storie “poco padane”, di incroci Nord-Sud che non fanno buona pubblicità ai leghisti coinvolti. Tiberio Businaro, sindaco di Carceri, Padova è finito sotto inchiesta per bancarotta e falso ideologico, per i suoi stretti rapporti – stando alle accuse dei pm – con una holding napoletana che acquista aziende nel Nord-Est per farle fallire. Al lombardo Angelo Ciocca, ex assessore provinciale di Pavia, non risulta nessuna accusa ufficiale. Ma nell’ambito di una maxi inchiesta sulla ‘ndrangheta al Nord, sono spuntate alcune foto che lo ritraggono con Pino Neri, avvocato considerato dagli inquirenti come il capo della ‘ndrangheta in Lombardia. Ciocca ha detto di avere visto Neri solo una volta, ma questo non ha evitato al Carroccio una situazione imbarazzante. Così come è imbarazzante per le posizioni della Lega sull’immigrazione la vicenda che ha portato agli arresti domiciliari di Camillo Gambin, esponente della Liga Veneta ad Albaredo Adige (Verona), perché vendeva permessi di soggiorno agli immigranti. O come conciliare le intemerate contro la prostituzione e la condanna a 18 mesi per sfruttamento della prostituzione che ha patteggiato Cesare Biasin, ex sindaco di Silea, che affittava tre appartamenti a “squillo” e trans. Mentre Alessandro Costa, assessore alla sicurezza di Barbarano Vicentino, arrestato perché secondo la procura faceva soldi con i siti a luci rosse.

Questi sono solo un campione: i leghisti sotto indagine, sotto processo o agli arresti potrebbero riempire ben più di un articolo. Il problema non è giuridico ma politico. Berizzi ha buon gioco a ricordare l’involontaria profezia di Davide Boni, il presidente leghista del Consiglio regionale lombardo indagato per corruzione: “Prima che i carabinieri, i nostri assessori devono temere il giudizio del movimento…”.