Legittimo impedimento: “Ci sarebbe un processo, può venire?” “Ho da fare”. “Scusi tanto”

di Sergio Carli
Pubblicato il 1 Febbraio 2010 - 13:20| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Il ministro della Giustizia Angelino Alfano

Ne discute in settimana il Parlamento e giuristi, avvocati, magistrati, oltre che politici di maggioranza e opposizione, disputano su vizi e virtù del “legittimo impedimento”.  A suo tempo quelli dell’Udc l’hanno definito un “ponte tibetano”. Di Pietro l’ha chiamato la “tomba del diritto”. Bersani una “legge ad personam”. Berlusconi l’ha battezzato “legge ad veritatem”. Alfano, Ghedini, La Russa, Gasparri e tutto il Pdl hanno sintetizzato così: “Una garanzia del sacrosanto diritto alla governabilità”.

Tante parole e formule per spiegare cosa sia questo “legittimo impedimento”. Che però mica spiegano tanto. Eppure è facile, si può spiegare così, con un semplice colloquio, colloquio in tre mosse fisse. Dice uno: “Ci sarebbe un processo, a suo carico. Lei, signor presidente o ministro, può venire?”. Risponde l’interpellato: “Ho da fare, c’è scritto qui sulla mia agenda che non c’è neanche un buco di tempo. Ho da fare, le mando l’agenda, lei prenda atto e richiami, riprovi magari tra sei mesi”. Susseguente e conseguente risposta, obbligata a termini di nuova legge, per questo si chiama “legittimo”: “La ringrazio dell’agenda, prendo atto e scusi il disturbo”.