Licenziamenti economici: la carta del “tentativo di conciliazione”

Pubblicato il 22 Marzo 2012 - 10:00 OLTRE 6 MESI FA

Elsa Fornero (Foto Lapresse)

ROMA – Il dubbio non ce l’hanno solo i sindacati, ma anche qualche membro del governo. Il ministro Fabrizio Barca si è chiesto: “Cosa fa un lavoratore per il quale è stato chiesto il licenziamento per motivi economici se invece ritiene di essere stato discriminato? Come tutelerà il proprio diritto? Penso anche ai lavoratori iscritti alla Fiom – ha aggiunto -. Questa è la domanda cruciale”. Il dubbio, ovviamente, è sull’articolo 18 e sulle modifiche volute da governo e Confindustria, meno dai sindacati dopo lo strappo della Cgil.

Il ministro Fornero intende cambiare l’articolo 18, quello che regola i licenziamenti senza giusta causa, in questo modo. Nel caso di licenziamento (senza giusta causa) per motivi discriminatori la legge resta com’è ed è previsto il reintegro sul posto di lavoro. Per quanto riguarda i licenziamenti per motivi disciplinari (dalle risse alle gravi inadempienze) sarà il giudice a decidere tra il reintegro e l’indennizzo. Ma la novità sostanziale riguarda i licenziamenti (senza giusta causa) per motivi economici. Ovvero quando il datore di lavoro licenzia un lavoratore perché l’azienda è in cattive acque. Fino a oggi, se un giudice stabiliva che quei motivi non c’erano, il datore di lavoro era obbligato per legge a reintegrare il lavoratore. Ora invece la riforma che il ministro Fornero vorrebbe far diventare legge prevede solo ed esclusivamente un indennizzo economico. Insomma, anche se non c’erano motivi economici perché quel lavoratore venisse allontanato, la sua azienda non lo riassumerà in alcun caso. E questo, altra novità, varrà per tutte le aziende: quelle sopra i 15 dipendenti e quelle sotto questa soglia.

E qui torna utile la domanda del ministro Barca: come si difende il lavoratore licenziato ingiustamente per motivi economici? Stando alla proposta del governo non potrà infatti far ricorso a un giudice per tornare a lavorare, perché il giudice non ha strumenti per disporre il reintegro. Può solo sperare nell’indennizzo. Per colmare questa lacuna la Cisl ha fatto una proposta. Il tentativo di conciliazione. Lo spiega Antonella Baccaro sul Corriere della Sera: “In pratica, nel momento in cui un lavoratore viene licenziato, scatterebbe una procedura conciliativa esperita in sede pubblica, presso l’ufficio provinciale del lavoro. In questo ambito il datore di lavoro e il lavoratore, assistito dal sindacato, si confronterebbero cercando una soluzione alla controversia. Il lavoratore potrebbe essere convinto a desistere dalla causa attraverso il pagamento di un congruo indennizzo e la corresponsione di un voucher che funziona come aiuto alla ricollocazione. Se questo tentativo fallisse, il lavoratore avrebbe diritto di ricorrere al giudice, sapendo che se avrà torto, perderà il posto di lavoro e andrà in disoccupazione. E, se avrà ragione, otterrà un indennizzo tra le 15 e le 27 mensilità dell’ultima retribuzione globale, modulata dal giudice in base alla dimensione dell’impresa, all’anzianità di servizio e alle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione”.