Lodo Alfano bocciato. La sentenza dopo sei mesi di polemiche

Pubblicato il 7 Ottobre 2009 - 21:17 OLTRE 6 MESI FA

corte-costituzionaleDopo mesi di polemiche la Corte Costituzionale ha deciso ha deciso l’illegittimità del Lodo Alfano per violazione dell’articolo 138 della Costituzione.

La Consulta era chiamata a decidere sulla legittimità costituzionale del provvedimento varato dal Parlamento nel luglio del 2008 e nei confronti del quale erano stati presentati tre ricors: due dai giudici di Milano, nell’ambito dei processi in cui il premier Silvio Berlusconi è imputato per corruzione in atti giudiziari dell’avvocato inglese David Mills (condannato in primo grado a 4 anni e 6 mesi) e per irregolarità nella compravendita dei diritti televisivi Mediaset.

Il terzo è del gip di Roma chiamato a decidere se rinviare o meno a giudizio Berlusconi, indagato per istigazione alla corruzione di alcuni senatori eletti all’estero durante la scorsa legislatura. Il provvedimento del governo aveva iniziato il suo percorso lo scorso anno con il via libera del Quirinale che aveva autorizzato l’esecutivo a presentare il testo alle Camere.

Successivamente, Napolitano avrebbe promulgato la legge. Il “punto di riferimento” per la decisione del capo dello Stato era stato la sentenza 24 del 2004 con cui la Corte aveva bocciato il lodo Schifani.

«A un primo esame, quale compete al capo dello Stato in questa fase -aveva scritto Napolitano- il ddl è risultato corrispondere ai rilievi formulati in quella sentenza».

Le osservazioni critiche di alcuni costizionalisti nei confronti del lodo che porta il nome del Guardasigill erano state respinte con decisione dalla memoria difensiva con cui il premier si era costituito come parte dinanzi alla Corte costituzionale: la sospensione dei processi stabilita dal lodo Alfano a favore delle quattro più alte cariche dello Stato non è, hanno scritto gli avvocati Niccolò Ghedini e Pietro Longo, un’immunità perchè l’obiettivo non è tanto quello di garantire il “sereno svolgimento delle funzioni” delle alte cariche, quanto piuttosto quello di garantire il diritto di difesa di un cittadino «che si trova ad essere imputato e, contemporaneamente, a rivestire un’alta carica dello Stato».

Inoltre, richiamandosi alla pronuncia della Consulta di 5 anni fa, i legali del premier avevano accusato il tribunale di Milano di «attribuire surrettiziamente alla Corte costituzionale convinzioni e conclusioni che sono in realtà soltanto sue».

Nella loro arringa difensiva nel corso dell’udienza pubblica della Consulta i rappresentanti legali del governo, insieme a Niccolò Ghedini e Pietro Longo anche Gaetano Pecorella, hanno ribadito le ragioni della difesa: «la legge è uguale per tutti, ma non necessariamente lo è la sua applicazione»e ancora: «il premier non è ‘primus inter pares’ come vuole la tradizione liberale, ma ‘primus super pares», perchè con le modifiche alla legge elettorale «non può essere considerato uguale agli altri parlamentari».

In precedenza la Consulta aveva deciso di non ammettere l’intervento della Procura di Milano. «Vedo negativamente l’inammissibilità, apre spiragli alla non accettazione dei ricorsi contro il lodo Alfano», ha commentato l’avvocato dei pm milanesi Alessandro Pace. I giudici che hanno sollevato le questioni di legittimità avevano sostenuto che per sospendere i processi alle alte cariche dello Stato sarebbe stata necessaria una legge costituzionale e non ordinaria.

I legali del premier avevano ribattuto ricordando una sentenza con cui la Consulta nel 2004 aveva bocciato il lodo Schifani per sostenere che con quella pronuncia riteneva implicitamente infondata qualsiasi violazione dell’articolo 138 della Costituzione. Il primo lodo, infatti, era stato dichiarato illegittimo sulla base di altre violazioni, come quella dell’articolo 3 sul principio dell’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge e dell’articolo 24 sul diritto di difesa. Anche l’Avvocatura generale dello Stato era scesa in campo con una memoria difensiva scritta dall’avvocato Glauco Nori per conto della presidenza del Consiglio, per difendere la «ragionevolezza» del lodo Alfano, in grado di coordinare due interessi quello «personale dell’imputato a difendersi in giudizio» e quello «generale, oltre che personale, all’esercizio efficiente delle funzioni pubbliche»svolte dal premier.

L’Avvocatura dello Stato aveva sostenuto che una bocciatura della legge, (legge definita “non solo legittima ma addirittura dovuta”) avrebbe provocato «danni a funzioni elettive, che non potrebbero essere esercitate con l’impegno dovuto, quando non si arrivi addirittura alle dimissioni. In ogni caso, con danni in gran parte irreparabili».

Un’iniziativa, quella dell’Avvocatura generale dello Stato, che aveva scatenato le polemiche dell’opposizione. Alle accuse di aver tentato di influenzare la Corte Nori ha ribattuto parlando di «un equivoco, una lettura fantasiosa della nostra posizione. Per«danni irreparabili», ha spiegato Nori «si intendono quelli che deriverebbero se si trascurassero gli impegni di governo». L’Avvocatura dello Stato, dunque, «ha semplicemente difeso la norma, prodotto legislativo del Parlamento, che lo Stato ha il dovere di tutelare».

Qualche mese prima quando si era venuto a sapere di una cena organizzata dal giudice Luigi Mazzella con ospiti il collega Paolo Maria Napolitano, il premier Berlusconi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, tra gli altri, il ministro della Giustizia Angelino Alfano e i presidenti delle commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato.

Sospensione dei processi nei confronti delle alte cariche dello Stato: il presidente della Repubblica, il presidente del Senato, il presidente della Camera, il presidente del Consiglio dei ministri. E’ quanto prevedeva il Lodo Alfano approvato dal Parlamento nel luglio del 2008 ma che oggi la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo per violazione dell’articolo 138 della Costituzione.

La sospensione, come si legge nel testo composto da un solo articolo ed otto commi, opera dalla data di assunzione della carica o della funzione e si applica anche ai processi penali per fatti antecedenti l’assunzione della carica. Il Lodo Alfano rappresenta il punto di arrivo di un percorso iniziato con il Lodo Maccanico, poi sostituito dal Lodo Schifani nel 2003. Dopo 6 mesi dall’approvazione da parte del Parlamento, la legge è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale.