Luigi Di Maio contro i sindacati: “Si autoriformino o lo faremo noi al governo”. Camusso: “Autoritario”

di redazione Blitz
Pubblicato il 30 Settembre 2017 - 16:03 OLTRE 6 MESI FA
Luigi Di Maio contro i sindacati: "Si autoriformino o lo faremo noi al governo"

Luigi Di Maio contro i sindacati: “Si autoriformino o lo faremo noi al governo”

TORINO – Avviso ai sindacati: “Si autoriformino”, o ci penserà il prossimo governo 5 Stelle. Parola di Luigi Di Maio, candidato premier M5s che al Festival del Lavoro di Torino, lancia una sfida alle organizzazioni sociali i cui toni ricordano molto da vicino la polemica Renzi-Camusso.

Come prevedibile, si è scatenata una ventata trasversale di proteste: dal governo al Pd fino a Cgil, Cisl e Uil, sono saliti tutti in trincea contro Di Maio. Il suo è “un linguaggio autoritario e insopportabile”, attacca il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso.

Di Maio, in verità, ribadisce un concetto “caro” al Movimento. Nell’aprile scorso, quando sulla piattaforma Rousseau è stato messo in votazione il programma Lavoro, uno dei punti chiave prevedeva il taglio “dei privilegi” e delle “incrostazioni di potere dei sindacati tradizionali”.

“Se il Paese vuole essere competitivo – ha detto Di Maio – le organizzazioni sindacali devono cambiare radicalmente. Dobbiamo dare possibilità alle associazioni giovanili di contare nei tavoli contrattazione, serve più ricambio nelle organizzazioni sindacali. O i sindacati si autoriformano o con quando saremo al governo faremo noi la riforma”.

Poi ha aggiunto: “Un sindacalista che prende la pensione d’oro o finanziamenti da tutte le parti ha poca credibilità per rappresentare un giovane di trent’anni”.

Intanto l’aspirante premier pensa a “una manovra choc sul costo del lavoro”. “Dobbiamo dare possibilità alle imprese e agli studi professionali di assumere per fare riprendere l’economia e dare gettito allo Stato. Così potremo pagare il debito e fare ulteriori investimenti per abbassare il costo del lavoro. Facciamo un po’ di deficit produttivo, investiamo nell’abbassamento del costo del lavoro, investiamo nei settori ad alto moltiplicatore è così rimetteremo in moto l’economia”, ha detto.

Quali settori? Un ruolo fondamentale, secondo il politico del movimento nato sul web, è proprio quello di Internet che “è la più grande fabbrica di posti di lavoro. Se avessimo aumentato del 35% gli investimenti su Internet avremmo il 5% di disoccupazione giovanile in meno. Se avessimo la diffusione Internet dell’Olanda ora avremmo 270mila nuovi posti di lavoro”. La sua ricetta contro la disoccupazione: “Per avere un processo di recupero posti di lavoro vanno fatti investimenti in tecnologia”.

Dal palco del Festival Di Maio invita a non avere paura di perdere posti di lavoro: “Al di là di quello che vogliamo sta arrivando un nuovo mondo del lavoro: oggi sta arrivando la Smart Nation, un nuovo modello di Paese in cui i lavori si trasformano”, ha spiegato, citando i dati di una ricerca secondo la quale “da qui al 2025 il 50% dei lavori saranno legati al settore creativo, mentre il 60% di quelli che conosciamo oggi si trasformerà o sparirà. Il settore creativo è legato al turismo, alla cultura e alle nuove tecnologie”

Ma il contenuto e il tono del neo leader M5s innescano un vespaio di reazioni. “Stiamo tornando all’analfabetismo della Costituzione”, replica a muso duro Camusso. “Il sindacato non è di Di Maio né dei sindacalisti, ma dei lavoratori”, incalza Maurizio Landini mentre la segretaria generale della Cisl Annamaria Furlan affonda: “Lasci perdere slogan e inutili polemiche e si concentri semmai sui veri problemi del Paese, come il lavoro stabile ai giovani”. “Avanti un altro. Se hanno idee buone per il mondo del lavoro ce le facciano conoscere”, ironizza infine il segretario generale della Uil Carmelo Barbagallo. 

Persino il governo non fa attendere la sua risposta e con il ministro del Lavoro Giuliano Poletti stigmatizza: bisogna “rispettare l’autonomia dei sindacati”. Non meno morbida la condanna, bipartisan, della politica. “Il sindacato ha un ruolo decisivo nello sviluppo di un Paese”, osserva il vice segretario del Pd Maurizio Martina, laddove Matteo Renzi – il cui rapporto con i sindacati è notoriamente ricco di tensioni – sceglie un altro tasto per attaccare il M5S. “L’articolo 1 della Costituzione è messo in discussione da chi dice che vuole fare il sussidio, il reddito di cittadinanza. Il lavoro non è solo salario ma dignità”, spiega il segretario Dem da Orvieto. Parole a cui il M5S replica a stretto giro: “Sono governo e maggioranza a tradire la Carta non garantendo il lavoro”.

Ancora più tranchant, su Di Maio, il giudizio della sinistra: per Mdp le sue parole fanno “rivivere il Ventennio” mentre Nicola Fratoianni di SI bolla il candidato premier M5S come “diversamente renziano”. E FI, con Maurizio Gasparri, sceglie il sarcasmo: “che uno che non ha mai lavorato parli di sindacati è il colmo”. Ma, nel giorno in cui tutti lo attaccano, Di Maio ritrova l’unità del Movimento incassando anche il plauso di Roberto Fico. “I sindacati sono troppo contigui ai partiti”, spiega il punto di riferimento dell’ala ortodossa che, dopo il gelo di Italia 5 Stelle, sembra aver siglato una tregua con i vertici. Vertici che, nelle prime battute della campagna di Di Maio, sembrano puntare a quel Nord dove il M5S è più debole. Promettendo una burocrazia leggera, una banca pubblica per gli investimenti e la cancellazione del Jobs Act.