L’ultimo Santoro: un cafone civile

di Lucio Fero
Pubblicato il 21 Maggio 2010 - 16:05| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Michele Santoro

Un grande conduttore tv, indiscutibile. Una voce scomoda per ogni potere costituito, salutariamente scomoda. Una professionalità utile ai cittadini. E un cafone civile. Tutto questo è Michele Santoro nella sua ultima e definitiva versione. Cafone civile non per cercare l’ossimoro, la contraddizione stimolante e illuminante tra le due parole abbinate, appunto cafone e civile. No, non c’è contraddizione nella definizione, c’è coerenza: cafone civile significa qualcuno privo di civica educazione, un maleducato al senso civile, uno che ignora il senso dell’esser cittadino e cioè l’intima, stretta e doverosa connessione tra diritti e doveri. I suoi prima di tutto.

Nulla di “civico” nella scelta di utilizzare, in regime di monopolio di interessi privati, venti minuti di pubblica televisione. Non è questione di galateo o di “forma”. E’ questione di sostanza civile: lo puoi fare solo se pensi che i “fatti tuoi” siano i primi e gli unici. Quel che è mancato a Santoro l’altra sera è appunto pudore civile, la prima regola per un cittadino.

Nulla di civico nell’argomento principe che così è più volte risuonato nelle sue parole e più volte è stato da Santoro cantato: ho successo, quindi ogni regola è ostacolo, perchè il successo esenta da regole. E’ l’argomento di Berlusconi, è la pedagogia dell’eccezione meravigliosa e quindi santificata, sciolta da ogni dovere. E’ l’argomento di Minzolini: “Gli ascolti mi danno ragione”.

Nulla di civico nell’uso della mezza verità: Santoro ha pieno diritto alla sua liquidazione, anche se milionaria. Chi la critica è un tartufo invidioso che acidamente coniuga lo sberleffo Sant’oro. Ma nell’ipotesi di accordo-divorzio consensuale con la Rai c’è altro oltre alla liquidazione, c’è la garanzia di future trasmissioni, c’è il finanziamento milionario del Santoro del futuro. Questo non è diritto, questo è monetizzare la difficoltà politica dell’azienda, è fare profitto, profittare, mettere all’incasso una rendita politica e non lavorativa e professionale. Non a caso se ne occupa un manager di affari, Lucio Presta.

Nulla di civico nel raccontare a metà: Santoro è in Rai da anni grazie alla sentenza di un giudice e malgrado chi comanda in Rai. Fa bene Santoro a raccontarlo e giustamente si ripara dietro la legalità di una sentenza. Ma il diritto, anche quello del lavoro, si invoca e si accetta tutto. E il diritto del lavoro non prevede, non consente, anzi punisce il dipendente che chiama imbroglioni, incompetenti e truffaldini tutti i dirigenti della sua azienda, in pubblico e con le telecamere e i microfoni dell’azienda. Nulla di civico nel riconoscere l’imperio della legge solo quando conviene e nel chiamare la legge repressione se eventualmente agisce contro di te. Un giudice ha ripristinato la legalità quando ha impedito Santoro fosse cacciato per volontà di Berlusconi. Un giudice non farebbe fatica a trovare una “giusta causa” di licenziamento nella pubblica demolizione della Rai fatta da Santoro.

Nulla di civico nel dare le carte dopo averle “preparate”: Santoro grida in tv “chiedetemi di restare”. Lo grida e lo rinfaccia alla sinistra. Omette di raccontare che i Consiglieri di amministrazione di minoranza della Rai glielo avevano già chiesto. Omette di dire che lui stesso aveva rilanciato: me lo deve chiedere il Pd. A proposito della Rai santoriana libera dai partiti…

Nulla di civico nel ripetere e rivendicare: “La mia Rai…il mio pubblico…io sono la perla della Rai…alla Rai porto soldi“. Alla Rai Santoro porta soldi sotto forma di spot pubblicitari che inseguono la sua trasmissione. Ma la “sua” trasmissione è anche della Rai, tutto da vedere è se quegli spot lo seguirebbero altrove. Annozero è un prodotto collettivo di successo che si avvale della bravura di Santoro, del marchio Rai e di tante altre cose. Quelle “cose” che hanno fatto di un giornalista pagato forse centomila, duecentomila euro l’anno, quale Santoro era, un conduttore da settecentomila euro l’anno. Date a qualunque bravo giornalista una trasmissione, un pezzo di palinsesto e la sua retribuzione si moltiplica per cinque o per dieci. Giusto, nessuno scandalo: ma è la tv il moltiplicatore, cioè l’azienda. Non è civilmente educato dimenticarselo.

E quale caduta di stile, anzi di percezione della realtà, quale scivolamento in inconscio sindacalese-corporativo quel lamentare: “Settecentomila euro l’anno, bloccati a otto anni fa…”. Bloccati, come fossero un salario senza scala mobile, una cassa integrazione con il tetto…

Ma ciò che è assolutamente negazione, ripulsa e in fondo veleno per la civile coscienza collettiva è identificare se stesso, le proprie aspirazioni, bisogni e sogni con il bisogno e l’interesse generale. Un cittadino si batte per il sacrosanto diritto alla sua verità, un giornalista lavora alla sua verità e rivendica l’insopprimibile diritto a diffonderla. Quando Santoro ha fatto, fa e farà questo, Santoro è cittadino e giornalista. Bravo, stimabile, da proteggere se necessario. Ma quando uno, uno qualsiasi e perfino un Santoro fa coincedire la sua verità con la Verità, quando predica io sono la Voce, fuori e all’infuori di me nessuna Libertà, allora sarebbe il tempo non dei giudici, dei politici, dei pubblicitari, dell’audience… Allora sarebbe il tempo degli infermieri.