M5S transformer. Casaleggio archivia il padre (“mai col Pd”) con Rousseau, la sua creatura

di Redazione Blitz
Pubblicato il 4 Settembre 2019 - 09:51 OLTRE 6 MESI FA
M5S trasformer: vincitori e vinti dopo il plebiscito su Rousseau

Gianroberto Casaleggio in una foto d’archivio (Ansa)

ROMA – Che MoVimento sarà quello dell’ultima trasformazione? Il plebiscito che ha sancito sulla piattaforma Rousseau l’accordo di governo con l’ormai ex nemico giurato Pd di fatto ci consegna un partito che da anti-sistema diventa centrale nella formazione di un governo, con annesse le accuse di trasformismo di chi può allearsi indifferentemente con la destra più estrema e la sinistra più esecrata.

I più di 70mila voti espressi sulla piattaforma digitale, celebrati come un record mondiale e modello esportabile di democrazia diretta, da una parte realizzano il sogno del suo fondatore Gianroberto Casaleggio, dall’altra ne sconfessano le motivazioni politiche più profonde.

Casaleggio sr: “M5S funzionale alla distruzione del Pd”

E’ toccato al figlio Davide, fino all’ultimo riluttante a far coincidere i voti M5S con quelli democratici per un’alleanza che ambisca a durare fino al termine della legislatura, liquidare il lascito politico del padre. 

“Una alleanza con il Pd? Se dovesse accadere, uscirei subito dal Movimento”, aveva scritto e teorizzato Casaleggio senior. Che immaginava il suo M5S come “funzionale” alla distruzione del Partito democratico, ricorda Marco Imarisio sul Corriere della Sera. L’anatema è ormai archiviato, freudianamente il figlio ha ucciso il padre, la macchina, Rousseau, ha preso il controllo.

Beppe Grillo si riprende il MoVimento

Il voto di ieri – tecnicamente ancora un vulnus nel rapporto con la democrazia rappresentativa, unica forma riconosciuta dalla Costituzione – è soprattutto il successo di Beppe Grillo. Sembra tornato alle origini, si è speso come non accadeva da anni per spingere verso l’accordo, convincere il popolo grillino, riportare a più miti consigli il deluso Di Maio.

Di Maio dimezzato

Un capo politico dimezzato, insidiato dal ritorno del guru e dall’esuberanza di Giuseppe Conte. Ancora ieri è riuscito a pronunciare la parola Pd solo una volta e a mezza bocca, come se il governo lo facesse con lo Spirito Santo.

Se Di Maio dovrà accontentarsi di una poltrona (gli Esteri) ridimensionando il suo potere fuori e dentro il MoVimento, cresce la statura di Roberto Fico, la cui storia politica più orientata a sinistra trova più spazio e ragion d’essere in un partito che recupera la sua anima movimentista.

Le azioni di Di Battista vanno invece sempre più giù: questa fase l’ha subita, non è tempo di piazza e tra i parlamentari è visto più come un fastidio che una risorsa. Più desaparecido che guevarista, stando alla piccola mitologia sudamericana del suo bagaglio retorico. (fonte Ansa, Corriere della Sera)