Magistrati pronti a far causa allo Stato: uno di loro sentenzierà sui loro stipendi?

Pubblicato il 4 Giugno 2010 - 16:47 OLTRE 6 MESI FA

Il segretario Anm Giuseppe Cascini

Si preparano a far causa allo Stato, sono già andati dagli avvocati, se lo sciopero non piega il governo vogliono che sia un giudice in Tribunale a decidere dei loro stipendi. Sono i giudici, pronti a consegnare nelle mani di un o di loro la sentenza sulle loro buste paga. E’ il trionfo del conflitto di interessi ma non spaventa una categoria che ha identificato il suo interesse niente meno che con la Costituzione. Dunque, non solo lo sciopero.   L’Associazione Nazionale dei Magistrati ha giudicato “inique” le riduzioni degli stipendi che riduzioni non sono ma mancati aumenti automatici nel prossimo triennio. L’Anm ha già deliberato di contattare uno studio legale. Manovra alla mano, vuole chiedere agli avvocati se un’azione legale contro lo Stato è possibile. Se si andrà in tribunale, saranno dunque gli stessi magistrati a pronunciarsi sulla richiesta dei loro colleghi.

I magistrati, o meglio il loro sindacato, guida dunque la rivolta contro la manovra. Con ogni mezzo, ad ogni costo. Guidano il corteo delle proclamazioni di sciopero: due giornate i medici e i veterinari, una giornata nazionale i Cub, comitati unitari di base, i farmacisti minacciano la serrata, il personale della scuola si mobilita. Ma nulla, neanche lo sciopero generale indetto dalla Cgil, è così dirompente e “innovativo” come la sollevazione delle toghe di ogni ordine e grado. L’Anm ha contestato la stessa natura della manovra, è intervenuta sui tagli alla spesa pubblica in ogni settore, si è spinta ad indicare una “sua” politica economica. E ha gridato al paese che giustizia, indipendenza e scatti automatici di carriera e retribuzione sono la stessa cosa.

Casini, leader dell’Udc, pur stando all’opposizione, ha individuato e segnalato il rischio gravissimo che i magistrati coscientemente corrono: «Stanno facendo un errore gravissimo a scioperare per il loro stipendio. Se il segnale che si vuole dare al Paese è di serietà e rigore, i magistrati dovrebbero essere i primi a rendersi conto che con lo sciopero danno un segnale in totale controtendenza. In questo modo finiscono con il delegittimare ulteriormente il loro lavoro in un momento di aspre polemiche». Già, il “momento di aspre polemiche” che dura in realtà da quasi venti anni. Da tanto almeno la magistratura chiede al paese e alla pubblica opinione di sostenerla contro la manifesta voglia del potere politico di limitarne l’azione. Da circa venti anni la magistratura rivendica la sua funzione e natura di potere di controllo nell’interesse generale. Da circa venti anni buona parte della pubblica opinione riconosce alla magistratura questo ruolo sia pure con consenso calante alla sua azione. Ora che i magistrati si dichiarano e si vogliono “parte” rischiano di disperdere questa credibilità e questo consenso, rischiano una frattura non tanto e non solo con il governo ma con la stessa pubblica opinione.

Per la prima volta non suona stonate e ripetitive le parole del ministro secondo cui “lo sciopero dei magistrati è uno sciopero politico”.  Alfano promette ai magistrati un sacrificio economico “più leggero” ma per la prima volta ha buon gioco nel paragonare la loro agitazione sindacale a quella di altre categorie. A difesa strenua dei loro diritti acquisiti i magistrati stanno assumendo le sembianze sociali di “taxisti dei Tribunali”. Forse quel che non hanno potuto decenni di leggi e di dichiarazioni contro la magistratura lo potrà un taglio degli aumenti in busta paga per tre anni: isolare gli uomini in toga dal resto del paese. Casini, il moderato Casini se n’è accorto. Il resto dell’opposizione tace imbarazzato. E l’Italia si avvia ad avere altro primato: c’era e c’è un premier padrone dell’informazione, ora stanno per esserci giudici che fanno causa allo Stato.