Marò, disastro targato Monti. Napolitano furioso col governo

di Emiliano Condò
Pubblicato il 26 Marzo 2013 - 20:43| Aggiornato il 15 Novembre 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Un ministro, Giulio Terzi, che si dimette con un governo che aspetta solo di essere sostituito. E si dimette senza avvisare per tempo né il capo di quel governo, né il presidente della Repubblica. Un altro ministro, Giampaolo Di Paola, che prende la parola subito dopo di lui e lo accusa, pur senza nominarlo direttamente, di essere una specie di Schettino che abbandona la nave in difficoltà. Un presidente del Consiglio, Mario Monti, che rimane per una lunga ora, qualcosa di più, in silenzio prima di decidere di andare a riferire alle Camere il giorno successivo. E un presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che la prende male, malissimo. E si infuria facendo chiaramente capire tutto il suo disappunto, appena stemperato dalle esigenze di protocollo delle dichiarazioni ufficiali.

Sui marò si consuma il disastro del governo Monti, o come detto dal Pd Lapo Pistelli , l’otto settembre del governo tecnico. Si consuma a legislatura finita, mentre Pier Luigi Bersani con risultati tutti ancora là da venire, cerca di assemblare un governo nuovo. Succede tutto nel primo pomeriggio del 26 marzo, quando il ministro Giulio Terzi si presenta alla Camera con il compito di riferire sulla situazione dei due marò, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, rispediti dal governo in India dopo che lo stesso governo con l’India aveva aperto una controversia per farli rimanere in Italia.

Che della materia il governo abbia fatto gestione discutibile si capisce dalle prime battute di Terzi. Eppure, fino alla parte finale del suo intervento quella di Terzi sembra una esposizione come tutte le altre. Il veleno è  nella coda. L’ex ministro, infatti, spiega che lui in questo governo non ci può più rimanere, neppure quei pochi (si spera) giorni che mancano alla conclusione dei lavori. Perché sui marò nessuno gli ha dato retta. Perché lui non voleva rispedire in India Girone e Latorre. E perché Monti & co, sostanzialmente, sulla questione hanno preso un abbaglio. L’Aula della Camera applaude. Ma quando Terzi finisce di parlare scende il silenzio. Un silenzio che sa di: e adesso?

Perché è, come dirà dopo Napolitano, “irrituale” che un ministro di un governo a fine mandato si dimetta. E perché nessuno, per prima Laura Boldrini che sulla sedia di presidente della Camera ci sta da pochissimo tempo, sa bene comportarsi. La confusione aumenta qualche minuto dopo, quando dopo Terzi parla un altro ministro, Di Paola.

Ministro che difende il governo e attacca Terzi, accusato in buona sostanza di aver fatto un inutile colpo di teatro e di fare il capitano che abbandona la nave che imbarca acqua. Schettino, non citato, che torna modello di ogni comportamento sbagliato. La Camera ascolta e ci capisce ancora meno. Segue dibattito in cui quasi tutti individuano in Monti il responsabile del patatrac. Monti che alla Camera e al Senato andrà a spiegarsi, ma solo domani.

Monti che in quel momento sa che la sua giornataccia è appena cominciata. Le dimissioni di Terzi, infatti, a Monti arrivano più o meno dalla tv. Così come arrivano a Napolitano. L’ex ministro indignato, infatti, non si premura di avvisare. E Napolitano, ovviamente, si infuria. In una prima comunicazione si dice “sconcertato” per un gesto “irrituale”. Ma la cosa che più irrita è quello sgarbo della mancata comunicazione.

Terzi, in serata, prova a giustificarsi dicendo che la decisione è maturata tardi. Toppa, se possibile, peggiore del buco. Sta di fatto che Monti corre al Quirinale e riceve l’interim del ministero degli Esteri e la patata bollente marò. Perché ora l’Italia tutta sa che il governo, sulla vicenda, se non naviga a vista poco ci manca. Con una strategia che fino ad oggi si è dimostrata totalmente fallimentare. A Monti, quasi quasi, conviene sperare che Bersani o chi per lui faccia in fretta il suo governo.