Matteo Renzi all’assemblea Pd (diretta video): “Via rimborsi, abolizione Bossi-Fini”

Pubblicato il 15 Dicembre 2013 - 08:59 OLTRE 6 MESI FA
Matteo Renzi parte all'attacco: "Via tranche rimborsi, abolizione Bossi-Fini"

Matteo Renzi (LaPresse)

MILANO –  La corsa di Matteo Renzi alla guida del Pd, e in prospettiva del paese, comincia oggi all’assemblea democratica, rinnovata per l’occasione in stile Leopolda con un’area per i bambini e un rigoroso timing di 5 minuti ad intervento. All’insegna del motto “non c’è un minuto da perdere”, il rottamatore imporrà, chiedendo un voto ai mille delegati, la sua road map. E, davanti a Enrico Letta, annuncerà la sua prima rivoluzione: la rinuncia del Pd alla prossima tranche dei rimborsi elettorali, una risposta alla sfida di Grillo e una prova che, se il governo ”fa sul serio”, come dice il premier, anche il nuovo Pd non scherza affatto e non subisce la competizione.

La diretta video dell’assemblea Pd


Maria Teresa Meli, sul Corriere della Sera spiega i punti a cui non può assolutamente rinunciare Renzi:

“Per questa ragione rilancerà: il Pd è anche disposto a rinunciare al finanziamento pubblico che verrà, a patto che i grillini dimostrino altrettanta serietà sul taglio ai costi della politica. Ovvero elimino le Province, aboliscano il Senato, tramutandolo in Camera delle autonomie locali, dove ci siano solo i presidenti delle Regioni e i sindaci a costo zero senza indennità e rimborsi, cancellino gli enti inutili ‘come il Cnel”‘.

Rinunciare ai rimborsi per il Pd significherebbe rinunciare a una quarantina di milioni di euro. Raccontano che Renzi sia rimasto basito quando ha visto i conti. Misiani, tesoriere uscente del Pd, un mesetto fa, diceva: «Tanto troverà le casse vuote». Non aveva torto. Solo quattro milioni in un anno per consulenze esterne di cui non si vedeva il bisogno, rimborsi di ristoranti e alberghi. È stato a quel punto che il leader del Pd si è reso conto che andare avanti così era impossibile. Di più: che era «immorale»: «Io i miei conti li pago da me, facciano così anche gli altri».

 

Ma questo è solo uno dei fronti che oggi Renzi aprirà davanti al premier. L’altro è quello della riforma elettorale: «Si comincia da questa settimana perché entro gennaio, entro febbraio al massimo, dobbiamo approvare la legge alla Camera e poi passare subito al Senato, non possiamo consentirci il lusso di perdere tempo. Quindi io continuo a tenere aperto l’accordo con tutti: da Grillo a Forza Italia». Ovviamente passando per Sel, con cui i rapporti, non da oggi, sono frequenti. Ma non è finita qui: sempre davanti al premier il segretario del Pd chiederà l’abolizione della Bossi-Fini. Quella sugli immigrati e sullo ius soli sarà una delle grandi battaglie del nuovo Pd, e non ci sarà Alfano che tenga. Sono tutti argomenti su cui il segretario non intende fare sconti, anche perché sa che il popolo del centrosinistra è sensibile a determinati temi. Non solo: Renzi farà delle proposte innovative sulla scuola e la cultura e attaccherà quella che in privato chiama «la cavolata della web tax». Il segretario è tentato di dire una parole anche su un altro argomento sensibile: le unioni civili.

 

Tutti temi che faranno fibrillare il Nuovo centrodestra. Che non è in grado di rinunciare al finanziamento pubblico futuro, che annaspa sulla Bossi-Fini e che, insieme al resto del governo, ha trovato una fonte di finanziamento da una tassa, quella sulla rete, invisa a tutti i giovani. Del resto, è il Ncd, oltre ai grillini e a una parte di Scelta civica, il campo di conquista di Renzi. Ma non finisce certo qui. C’è un’altra battaglia che Renzi è pronto a combattere e che lo ha portato, addirittura, ad avvicinarsi a Landini: quella sulla rappresentanza sindacale. Il leader della Fiom la mette in discussione, il segretario del Pd anche. Il governo, abituato alla concertazione con Cgil, Cisl e Uil si troverà in difficoltà pure su questo terreno. Ma è la rappresentanza sociale tradizionale più in generale che Renzi mette in dubbio: anche quella dei commercianti, degli imprenditori, degli artigiani. E i giorni dei Forconi sembrano dargli ragione.

Dopo essere stato vissuto a lungo con insofferenza dentro il Pd, Renzi si prende ufficialmente il partito: l’assemblea dei mille lo incoronerà segretario così come eleggerà Gianni Cuperlo presidente, seguendo l’indicazione del neoleader che vuole la pax interna dopo aver rottamato la vecchia guardia. D’altra parte la forza dei numeri che le primarie consegnano al sindaco di Firenze fa capire come Renzi imporrà la sua agenda dentro il partito e verso il governo: dei mille delegati in assemblea, 700 sono suoi così come è “impietosa”, ammette un bersaniano, la maggioranza del segretario dentro la direzione che dovrà essere eletta anche domani. E questa forza Renzi ha intenzione di usarla tutta perché, ripete da giorni, “è l’ultima occasione” per cambiare il Pd, il Paese e anche la politica. Per dimostrare che bisogna fare in fretta – il primo banco di prova del Pd renziano sono le europee di maggio – il neoleader metterà in fila le sue urgenze e la sua dead line: approvazione entro il 24 maggio di una legge elettorale maggioritaria e a doppio turno, in primis. Una priorità che Renzi è disposto a discutere dentro i confini della maggioranza ma, se qualcuno ostacolerà la riforma, chiarisce la neoresponsabile Riforme Maria Elena Boschi, il Pd guarderà a Grillo e Silvio Berlusconi e alla fine “chi ci sta voterà con noi” . Parole che sanno di minaccia ad Angelino Alfano, che a sua volta, sabato 14 dicembre ha sfidato il sindaco sulla riforma del lavoro perché ”siamo curiosi di sapere se dirà in inglese le tesi della Cgil o le tesi riformatrici”.

Il meno preoccupato di questa corsa al rilancio dentro la maggioranza di governo appare, per ora, il premier Letta, convinto che un Pd forte rafforza l’azione dell’esecutivo e che anche una gara, se virtuosa, tra i diversi protagonisti può far bene all’Italia che cerca di uscire dalla crisi. Ma, garantendo una mano a Letta perché faccia le cose, il capo del Pd non ha intenzione di svolgere il ruolo di gregario o portatore d’acqua al governo.

Gianni Cuperlo intanto, accettando la presidenza del Pd, gli ha chiarito che resta il capo della sinistra del partito. Questa  mattina, prima dell’assemblea, riunirà i suoi. Area che, d’altra parte, non ha intenzione solo di stare a guardare la new wave renziana, come dimostra Dario Ginefra, primo firmatario del disegno di legge per imporre il limite dei 3 mandati in Parlamento, proposta sostenuta da numerosi renziani e che il sindaco per coerenza con la rottamazione potrebbe ora fare sua.