Bologna e la “sfiga” del Pd: Cevenini, l’uomo giusto, fermato da un’ischemia

Pubblicato il 21 Ottobre 2010 - 13:23 OLTRE 6 MESI FA

Maurizio Cevenini

“A son sfighè”. Il passaggio di un brano del cantautore bolognese Andrea Mingardi è il ritornello obbligatorio della parabola del Partito Democratico nella città emiliana. Una volta tanto che nella figura di Maurizio Cevenini spunta l’uomo giusto, infatti, ci si mettono di mezzo i medici per chiedere all’aspirante sindaco di fare un passo indietro. “La scelta spetta a lui”, dicono i dottori,  ma la salute viene prima di tutto.

Succede che dopo tanto soffrire e peregrinare i democratici sembravano aver trovato il loro candidato perfetto per la guida della città. Maurizio Cevenini, 56 anni, ex centralinista divenuto amministratore delegato, era l’uomo giusto al posto giusto. Relativamente giovane, popolare in città, tanta militanza porta a porta nel Partito e un sapiente uso delle nuove tecnologie, social network in testa.

Cevenini, detto il Cev, è perfetto per ricucire lo strappo tra il Pd e la sua roccaforte dopo la sciagurata uscita di scena del vecchio sindaco, Flavio Delbono, travolto dal “Cinziagate”, un brutto affare di carte di credito e interessi privati in pubbliche faccende.

Cevenini è di gran lunga il democratico più popolare in città. Il successo appare inevitabile, prima alle primarie e poi alle amministrative.  Ma la sfiga, o il diavolo (a seconda dei punti di vista) ci mettono lo zampino. A primarie appena iniziate il Cev si ferma per colpa di un’ischemia, un principio di ictus che lo costringe a letto.

Il Pd non molla ma, poco dopo, arriva il responso dei medici: “Cevenini non è in grado di sostenere una campagna elettorale”. Men che meno può caricarsi sulle spalle lo stress di una vita da sindaco. La scelta, però, spetta solo a lui anche se, c’è da giurarsi, moglie e figlia faranno di tutto per portarlo a più miti consigli.

Nell’attesa di una decisione definitiva il Pd prende tempo. Non è una scelta tattica, ma una necessità. Dietro il Cev, infatti, c’è il vuoto assoluto. A son sfighè.