Quelli che ridono della “mela al sapore di fica”

Pubblicato il 5 Aprile 2011 - 14:55 OLTRE 6 MESI FA

(foto Lapresse)

ROMA – Quelli che ridono al “sapore di fica”. Francesco Merlo su La Repubblica si chiede perché lo facciano, perché ridano, mostrino in pubblico il loro riso alle barzellette di Berlusconi. Riso di partecipazione e complicità, non sorriso di circostanza. Non dazio pagato con imbarazzo di fronte all’autorità e al potere che, tanto per restare in tema, la fa fuori dal vaso. Ma attestato di comunanza, esibizione di intimità condivisa. Ridono alla barzelletta della mela che a seconda di come la giri sa “di fica” o “di culo” i sindaci campani del Pdl. Ma ride alla barzelletta del sondaggio secondo cui il settanta per cento delle donne giovani l’amore con il premier l’ha già fatto mentre il restante trenta per cento pensa “magari” anche il Presidente della Regione Sicilia, quel Lombardo che sta con il suo Mpa all’opposizione. Non è solo riso di corte e cortigiano. E Merlo si domanda perché: “Servi, a libro paga, sdoppiati?”. Nel suo articolo Merlo tenta una risposta. Risposta che si può riassumere nel piacere che quelli che ridono provano di fronte alla profanazione. Risposta che Merlo sintetizza nella “voluttà del degrado”, insomma il piacere di degradare e profanare istituzioni e cultura. “La mela da brevettare è la loro cifra ontologica, questi davvero pensano che la mela al sapore di fica sia meglio che leggere Kant”. Conclude Merlo dicendo che quelli che ridono non sono pagati e neanche prostrati in ginocchio, sono invece comparse di un film di cui condividono la trama e il linguaggio, coscienti e contenti di farne parte più o meno occasionale.

Temo che Merlo cercando la risposta alla giusta domanda, individuando la domanda giusta del perché ridono, cercando una antropologia dello sfregio abbia distolto, per una sorta di umana carità, il suo sguardo da altra antropologia, quella della contemporaneità. Quelli che ridono non ridono solo alle barzellette stuopide o vomitevoli. E neanche ridono solo allo spettacolo voluttuoso del potente che profana cultura e istituzioni. Il “fenomeno” sociale è che quelli che ridono non ridono solo con Berlusconi oggi e domani chissà con chi. Ridono sempre, il loro è un tic dell’anima. Una risposta autistica alla complessità del reale. Ed è questa la cifra della contemporaneità. Sempre e non solo quando parla Berlusconi. Guardate se vi capita un qualunque filmato televisivo di qualche decennio fa. Guardatelo con particolare attenzione, fate caso ad una costante. Anche allora i telegiornali e i microfoni andavano in  strada a chiedere alla “gente”. Allora sempre la “gente” per rispondere si faceva seria, cercava le parole, si sentiva impegnata nel fornire risposta con il miglior linguaggio di cui disponeva. Oggi al contrario sempre la gente come prima risposta offre un ridere compulsivo e ossessivo, qualunque sia la domanda e la questione, anche quella su quale sia il piatto preferito o l’acquisto sognato per Natale. E’ la cifra contemporanea quel ridere. Cifra dell’oggi che sta tutta dentro un antichissimo detto: il riso abbonda sulla bocca degli ignoranti. L’ignoranza si è fatta orgogliosa virtù da esibire, vanto dell’esistenza, patente di genuinità. Ridono non perché sanno di che ridono ma perché non sanno di nulla, neanche di che ridono. Ignoranza vissuta con amore, coltivata con passione, rispettata e promossa socialmente. Qualunque cosa votino alle elezioni. Se “profanano”, non lo fanno come iconoclasti conquistatori, la loro “profanazione” è quella degli zombi che inciampano nelle cose della civiltà.