Meloni premier, il non sono una signora. Giornalisti politici: vocabolario da 100 parole e suscettibilità presuntuosa

Meloni premier riempie i giornalisti politici di "andiamo avanti..." e "lo so io..." al sapor di insofferenza con aroma di rancore. Ma il giornalismo domandante ha un vocabolorio di cento parole, una sintassi budino e una suscettibilità perciò permalosa.

di Lucio Fero
Pubblicato il 23 Novembre 2022 - 09:22 OLTRE 6 MESI FA
Meloni premier presuntuosa

Meloni premier, il non sono una signora. Giornalisti politici: vocabolario da 100 parole e suscettibilità presuntuosa (foto ANSA)

Giorgia Meloni premier in conferenza stampa ha sceneggiato e cantato e mostrato e fischiettato il suo non sono una signora, era quella l’orecchiabile colonna sonora, il non sono una signora alla Loredana Berté. Giorgia Meloni ha riempito i giornalisti di “andiamo va’” e “lo so io” che trasudavano incomprensione e inosservanza delle buone maniere, della forma che poi alla fine è anche sostanza. Come avrebbe detto l’indimenticabile Vigile interpretato da Alberto Sordi, Giorgia Meloni “è uscita al naturale”.

Il suo interloquire è muscolare, il suo relazionarsi è aggressivo, con un sottostante rancoroso. E’ la postura di chi umanamente e politicamente ha trovato e costruito la sua identità sull’orgoglio dell’esclusione. E non sembri un paradosso: l’essere altri ed esclusi per la loro alterità (Meloni giovane cresce nell’habitat socio culturale del neo-fascismo), esclusi o almeno messi ai margini anche socialmente, diventa identità e orgoglio. Ma il rancore non evaporerà mai, si stratifica, permane. E poi Giorgia Meloni non ha mai voluto essere o fingere di essere una gentildonna. Le piace una qualche sua ruvidezza, se ne compiace. Talvolta scivola perfino, anzi forse non scivola ma indulge, in un volontario e affettato questi sì coattismo a bassa intensità. Non c’è nulla di nuovo e di diverso rispetto alla Meloni vera e nota nella Meloni della conferenza stampa sulla Legge di Bilancio. E neanche nulla di particolarmente contundente se parametrato a ciò che la Meloni è e vuole essere. Eppure un bel po’ di giornalisti politici si sono adontati. Abbastanza a sproposito ma soprattutto si sono mostrati inadeguato…ad adontarsi.

Un gergo, cento parole, sintassi budino

Assistere alle conferenze stampa ormai da tempo comporta una pena. La pena compassionevole con cui accompagnare il balbettio concettuale e il budino di sintassi con cui il giornalista (quasi tutti) fa le cosiddette domande. Che non sono domande. Possono essere comizietti para politici. Para perché il giornalista non espone propaganda a fini politici. Gli serve per “fare il titolo”. E il titolo fa fatto in sequenza al titolo del giorno prima. E va fatto in un gergo professionale che ormai non varca la dimensione delle cento parole. Il giornalista politico domandante standard rimastica pochissime e astratte parole, di cui peraltro, se mai l’hanno avuto, si è perso il significato concreto. Un po’ non sa quel che dice, molto non sa quel che domanda. Perché non domanda, recita una parte. E ritiene in buona fede che recitare quella parte sia il suo compito e lavoro.

Succedeva, tremendamente succedeva anche ai tempi delle conferenze stampa sulla pandemia, con i giornalisti domandanti ignoranti al massimo di ciò che domandavano. Il tutto il domandare condito e cucinato in una inadeguatezza (incapacità?) ad articolare comunicazione verbale. Un parlare lungo, vago, ritorto, sgrammaticato e in carestia grave di concettualizzazione. Eccolo il domandare dei giornalisti politici alla Meloni. 

Suscettibilità presuntuosa

Ne deriva che l’estrema suscettibilità del giornalismo strattonato con ruvidezza dalla Meloni rispondente risulta presuntuosa. Per esigere risposte puntuali occorre prima fare domande puntuali, informate e intellegibili. L’attenzione alla stampa non è, come sembrano pensare molti giornalisti, una prerogativa di categoria/lobby, una guarentigia concessa e riconosciuta dal potere una volta e per sempre. Quel che la stampa, qui in particolare il giornalismo politico, chiede ed esige è un salamelecco a ciò che resta di un potere e di una funzione svuotati e dimessi: quelli dello studio, competenza e quindi divulgazione. Un giornalista domandante dotato e padrone di un eloquio almeno liceale e di un accettabile senso del reale non avrebbe né difficoltà né fastidio di fronte ad un/a premier che ruvidizza. Saprebbe fare altrettanto e, nel caso in specie, con maggior eleganza. Invece frigna di fronte a Giorgia che gli fa “annamo va…”.