Michela Murgia a Salvini: “Facciamo il gioco dei Cv, chi dei due è radical chic?”

di Daniela Lauria
Pubblicato il 18 Aprile 2019 - 10:01| Aggiornato il 21 Aprile 2020 OLTRE 6 MESI FA
Michela Murgia a Salvini: "Facciamo il gioco dei Cv, chi dei due è radical chic?"

Michela Murgia a Salvini: “Facciamo il gioco dei Cv, chi dei due è radical chic?”

ROMA – “Caro ministro, le propongo un gioco: si chiama sinossi dei curriculum”. Così la scrittrice sarda Michela Murgia replica agli attacchi di Matteo Salvini che l’aveva apostrofata come una “intellettuale snob e radical chic”. Autrice del bestseller Accabadora e vincitrice dei premi Campiello, Dessì e SuperMondello, prima di raggiungere il successo Michela Murgia ha conosciuto la precarietà, forse meglio di chiunque altro. Ha lavorato per mantenersi gli studi, poi insegnante precaria, operaia in una centrale termoelettrica e ancora cameriera d’albergo e operatrice di un call center. “Lei invece, signor ministro?”, è la domanda che la scrittrice pone al leader del Carroccio.

Il post memorabile parte da una premessa: chiunque avanzi critiche a Salvini si ritrova ad essere etichettato come persona abbiente e avulsa dalla realtà. La Murgia passa quindi in rassegna le sue passate esperienze lavorative mettendole a confronto con quelle del suo antagonista: il risultato è inoppugnabile. 

La sua storia comincia nel lontano 1991, “anno in cui mi diplomavo come perito aziendale, mi pagavo l’ultimo anno di studi lavorando come cameriera stagionale in una pizzeria. Purtroppo feci quasi due mesi di assenza perché la domenica finivo di lavorare troppo tardi e il lunedì mattina non sempre riuscivo ad alzarmi in tempo per prendere l’autobus alle 6:30 per andare a scuola. A causa di quelle assenze, alla maturità presi 58/60esimi”.

L’anno seguente si diplomava Salvini con il voto di “48/60 alla maturità classica in uno dei licei di Milano frequentati dai figli della buona borghesia. Sono contenta che non abbia dovuto lavorare per finire il liceo. Nessuno dovrebbe”.

Siamo quindi al 1993: Michela Murgia cominciava “a insegnare nelle scuole da precaria, lavoro che ho fatto per sei anni. Nel frattempo lei veniva eletto consigliere comunale a Milano e iniziava la carriera di dirigente nella Lega Nord, diventando segretario cittadino e poi segretario provinciale. Non avendo mai svolto altra attività lavorativa, è lecito supporre che la pagasse il partito. Chissà se prendeva quanto me, che allora guadagnavo 900 mila lire al mese”.

E ancora: “Nel 1999 per vivere consegnavo cartelle esattoriali a domicilio con un contratto co.co.pro. Ero pagata 4mila lire a cartella e solo se il contribuente moroso accettava di firmarla. Lei invece prendeva la tessera giornalistica facendo pratica alla Padania e a Radio Padania, testate di partito che si reggevano sui finanziamenti pubblici, ai quali io non ho nulla in contrario, ma contro i quali lei ha invece costruito la sua retorica. Nel 2000 ho iniziato a lavorare in una centrale termoelettrica, dove sono rimasta fino al 2004. Mi sono licenziata perché ho scelto di testimoniare in tribunale contro il mio datore di lavoro per un grave caso di inquinamento ambientale. Mentre lasciavo per coscienza l’unico lavoro stabile che avessi trovato vicino a casa, lei era segretario provinciale della Lega Nord, suppongo sempre pagato dal partito, dato che anche allora non faceva mestieri. Nel 2004 ho lasciato la Sardegna per lavorare come cameriera in un albergo al passo dello Stelvio, in mezzo alla neve, con un contratto stagionale a poco più di mille euro. Mentre io da precaria rifacevo letti, lei si faceva eleggere al parlamento europeo a 19.000 euro al mese”.

Con il passare degli anni, la differenza tra Murgia e Salvini è a dir poco straniante. Questa dunque la conclusione durissima cui giunge la scrittrice: “Se adesso le è chiaro con chi è che sta parlando quando virgoletta il mio nome nei suoi tweet, forse le sarà altrettanto chiaro che è lei, signor Ministro, quello distaccato dalla realtà. Tra noi due è lei quello che non sa di cosa parla quando parla di vita vera, di problemi e di lavoro, dato che passa gran tempo a scaldare la sedia negli studi televisivi, travestirsi da esponente delle forze dell’ordine e far selfie per i social network a dispetto del delicatissimo incarico che ricopre a spese dei contribuenti. Lasci stare il telefonino e si metta finalmente a fare il ministro, invece che l’assaggiatore alle sagre. Io lavoro da quando avevo 14 anni e non mi faccio dare lezioni di realtà da un uomo che è salito su una ruspa in vita sua solo quando ha avuto davanti una telecamera”.