Monti parla: Pd e Udc applaudono. Gli altri a muso duro e a viso triste

Pubblicato il 16 Dicembre 2011 - 20:58 OLTRE 6 MESI FA

Mario Monti (LaPresse)

ROMA – Ci sono i ringraziamenti e ci sono gli applausi. Ma la telecamera della Camera dei Deputati, fissa su Mario Monti può trarre in inganno. Se si fa più attenzione ai suoni si percepisce una Camera diversa, che applaude solo in parte, spesso rumoreggia. E non è solo la Lega Nord, che venerdì sera, rispetto agli ultimi episodi, si è persino contenuta. E’ il clima intorno a Monti che è teso.

Innanzitutto gli applausi. Ci sono ma non vengono da tutta la maggioranza che il premier appoggia e vota. A parte qualche passaggio a spellarsi le mani sono sempre solo Pd e Terzo Polo che, senza il Pdl, Lega e Idv non fanno maggioranza. Il partito di Silvio Berlusconi ha fatto lo sforzo di votare la fiducia, all’applauso non si concede.

Per il resto il discorso di Mario Monti scorre senza sorprese: si parte dal solito salvataggio dell’Italia e dalla iniezione di fiducia: “Possiamo farcela”. Subito mitigata da un “anche se non dipende solo da noi”. Per il resto Europa e i provvedimenti della manovra. Con una sola variazione sul tema, una risposta a distanza a Berlusconi: “Non sono disperato, stamattina mi sentivo in colpa ma è passato subito”. L’ex premier accoglie con un sorriso complice con Alfano. E l’atmosfera, però, resta tesa.

Quando Monti inizia a parlare di “equità” sale la protesta della Lega. Fini richiama all’ordine ma serve relativamente a poco. Anche perché alla Lega Nord si aggiunge il lato opposto della penisola, “Noi sud” con tanto di cartelli con scritto “Monti uccide il sud”.

I numeri della fiducia di oggi sulla carta parlano di una maggioranza schiacciante: 495 sì a 88 no. Ma è tutto virtuale. Il freddo del Pdl che applaude il minimo indispensabile e il Pd che applaude ma con il segretario Pierluigi Bersani parla di elezioni sono un segnale chiaro.

Mettiamoci poi che il governo, quanto a prassi parlamentare è rivedibile. Il protagonista del giorno è il ministro Piero Giarda, uno che dovrebbe curare i rapporti con il Parlamento ma che in aula non ne azzecca una. Prima legge a voce troppo bassa gli emendamenti cui il governo è favorevole, poi sbaglia i nomi. Alla fine si lascia andare a un “Meccacci & company” che gli fa guadagnare il primo di una sfilza di rimproveri di Gianfranco Fini. Prima lo invita ad alzare la voce, poi a sbrigarsi, infine a rispettare i parlamentari. Non una bella figura.

Ma sugli emendamenti il governo incappa in un’altra figuraccia: con 400 voti di vantaggio (teorici) riesce ad andare sotto su una proposta della Lega cui aveva dato parere contrario. Il testo, firmato da Francesca Martini, impegna il governo “a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni sulla tassazione della prima casa, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere una detrazione ad hoc dell’imposta municipale sulla prima abitazione pari al 50 per cento e relativa ai soggetti disabili gravi non autosufficienti”.