Ndrangheta: al Nord come al Sud le orecchie da mercante di avvocati, notai, commercialisti

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 15 Marzo 2011 - 15:54 OLTRE 6 MESI FA
Mario Draghi

Mario Draghi

ROMA – “I potenziali segnalanti: avvocati, notai, commercialisti, sarebbero diverse centinaia di migliaia, ma nel 2010 sono pervenute solo 223 segnalazioni”. Poco più di duecento segnalazioni da centinaia di migliaia di professionisti. A fornire questo dato è il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, l’occasione per fornirli è un incontro sulle mafie al Nord organizzato da Libera e dall’Università, il tema è quello delle segnalazioni in materia di antiriciclaggio. Ecco quel che Draghi si aspettava segnalassero: tracce, impronte di passaggio di denaro, riciclato, lavato, pulito. Non denunce che sono difficili e compromettono, ma semplici segnalazioni, avvistamenti di movimenti di denaro incongrui, avvistamenti facili dalle rispettive postazioni professionali. Ma Draghi ha aspettato invano: i “potenziali segnalanti” hanno fatto, fanno orecchie da mercante.

Di quell’incontro, e dell’intervento tenuto dal Governatore, tutti hanno ascoltato e registrato il passaggio sull’infiltrazione delle mafie al Nord. Forse perché più di moda dopo la polemica Saviano-Maroni nata a “Vieni via con me”, forse perché più semplice e scontato o forse solo perché al capitolo dell’infiltrazione è stato dedicato più tempo da Draghi e quindi è sembrato più meritevole di attenzione agli ascoltatori. Ma non è così. Le infiltrazioni, che oramai somigliano molto di più a un vero proliferare, delle mafie al Nord sono cosa nota, vanno sottolineate e combattute, ma non stupiscono nessuno. Su questo punto conviene anche il ministro Maroni che ha replicato a Draghi: “Che ci siano infiltrazioni della ‘ndrangheta al Nord lo sappiamo bene, l’impegno nostro, delle forze dell’ordine, della magistratura e delle istituzioni per contrastarle è quotidiano: quindi la denuncia va benissimo, noi ci preoccupiamo di contrastare con fatti e azioni concrete le infiltrazioni della ‘ndrangheta nell’economia”. E lo sa anche la magistratura che negli ultimi giorni ha effettuato almeno due importanti operazioni antimafia tra Milano e Roma. Quello che non tutti sanno, e che emerge oltre che dalle parole di Draghi anche dai dettagli delle su citate operazioni, è che questo proliferare si realizza e trova il suo naturale terreno di crescita nelle connivenze e ancor di più nei silenzi di buona parte della cosiddetta società civile. E questo è valido a Milano come a Palermo.

“La distribuzione territoriale delle operazioni segnalate come sospette è correlata con i livelli di reddito: in Lombardia, da cui origina il 20% del Pil italiano, si concentra un’analoga quota di segnalazioni di sospetto riciclaggio – ha continuato Draghi – Anche tenendo conto di ciò, il numero di segnalazioni provenienti da alcune aree di tradizionale insediamento mafioso appare sorprendentemente piccolo: in Sicilia, Campania e Calabria si registrano rispettivamente il 33, 27 e 16% delle denunce per associazione mafiosa, ma solo il 6, 12 e 2% delle segnalazioni di sospetto riciclaggio; è possibile che i soggetti potenzialmente segnalanti subiscano in queste aree una particolare pressione ambientale”. Il riciclaggio non è un aspetto marginale della criminalità organizzata e, soprattutto, non è come forse può sembrare a molti, un reato meno grave. Certo, l’omicidio, il sequestro di persona e i fatti di sangue in genere fanno molto più rumore. Le “persone perbene” sono molto più propense ad indignarsi per questo che per dei soldi che devono essere ripuliti. Lo sanno anche le mafie che, tranne in alcuni casi estremi, hanno proprio per questo scelto di mantenere un basso profilo. I soldi che vengono poi riciclati hanno, ovviamente, una provenienza criminosa: traffico di droga e armi ed estorsioni nella maggioranza dei casi. Invisibili, apparentemente, al commercialista che quel denaro ripulisce, ma assolutamente reali.

E, se il fine ultimo della criminalità è quello di far denaro e arricchirsi, quale strumento migliore di quello di tener sotto controllo i flussi di denaro per capire dove le mafie si nascondono e operano? La domanda è chiaramente retorica, solo che per far questo serve la collaborazione di quei settori professionali che possono monitorare i movimenti di denaro e segnalare quelli sospetti: avvocati, notai, commercialisti e simili. Maroni, in qualità di Ministro dell’Interno, si è sentito in dovere di rispondere all’analisi fatta da Draghi, e loro? I professionisti citati dal Governatore e le loro associazioni di categoria non hanno evidentemente sentito la necessità di difendere il loro onore professionale e umano e non hanno nemmeno sentito il bisogno di spiegare le loro eventuali difficoltà nel compiere quest’opera che appare minima ma che forse in alcune realtà non è di così semplice attuazione. Silenzio assoluto. La relazione di Draghi è datata 11 marzo e, a 4 giorni e due operazioni antimafia di distanza, nessuna replica, nessuna precisazione, hanno tutti fatto finta di niente, hanno tutti fatto “orecchie da mercante”.

Non è neanche però giusto gettare la croce sui commercialisti e notai, avvocati e altri potenziali segnalanti “professionali”, tra cui, perché no, le banche. Le connivenze e i silenzi colpevoli albergano in settori apparentemente insospettabili. Dall’ultima operazione antimafia effettuata in Lombardia è emerso che i capiclan trovavano ospitalità per le loro riunioni negli uffici di due grandi ospedali milanesi grazie alla complicità di un capo infermiere e di un funzionario. Persino una suora, sorella di un boss, si è rivelata un’informatrice della malavita. Lei, vicedirettore sanitario di un ospedale laziale, grazie alle sue conoscenze era in grado di avvertire suo fratello se c’erano indagini su di lui e sui suoi affari. E, come spesso accade, anche la politica si è ritagliata un posto nell’elenco dei conniventi o, almeno, dei poco accorti. Draghi, nel suo intervento, ha ricordato le due amministrazioni recentemente sciolte per infiltrazione mafiose al Nord ma ancora non poteva sapere quello che è emerso pochi giorni dopo nell’operazione anti ‘ndragheta di Milano. “Fatti salvi i casi di compenetrazione organica (leggi Calabria ad esempio, ndr) molto spesso ci troviamo al cospetto di vincoli di “occasione” che non permettono l’attribuzione al soggetto esterno della qualifica di associato. Al contempo il soggetto esterno svolge perlopiù attività lecite e quindi non punibili. Quindi il risultato quasi paradossale è che uno degli aspetti di maggiore pericolosità del fenomeno criminale mafioso rischia di sfuggire a ogni tipo di sanzione penale” scrive il Gip dell’inchiesta riferendosi a molteplici contatti, apparentemente legali, tra esponenti politici e personaggi della malavita. Contatti che, anche laddove non configurano reato, legittimano e aiutano la penetrazione della malavita stessa nel tessuto sociale.