Pd: 1 su 3 ha detto no a Speranza. Rischio fronda renziani ed ex Margherita?

Pubblicato il 20 Marzo 2013 - 13:29| Aggiornato il 24 Ottobre 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Roberto Speranza, il Bersani-boy eletto capogruppo del Pd alla Camera è stato proposto come il nuovo che avanza ma circa un deputato democratico su tre si è sfilato dalla votazione. Trentaquattro anni appena, alla prima legislatura, un cursus honorum tutto nella sua Basilicata, dopo l’acclamazione di Luigi Zanda al Senato, Bersani sperava in un altro sì senza intoppi, ma è proprio in quel momento che il meccanismo si è inceppato.

Ad alzarsi in piedi è Luigi Bobba, figura dell’ala moderata del partito, già segretario delle Acli, che si oppone e chiede il voto a scrutinio segreto. A rigor di regolamento ha ragione, per questo Enrico Letta spegne subito la discussione e conviene sul voto segreto. Risultato? Speranza è eletto con 200 voti, ma le bianche, nulle e disperse arrivano a quota 84: in altre parole il 29% dei deputati non ha votato per il capogruppo indicato dal segretario del partito.

Una quota di dissenso decisamente significativa e ora il timore è che questo potesse essere un segnale per Bersani alla vigilia delle consultazioni, ma anche in vista delle votazioni segrete per il Quirinale, da sempre occasione per imboscate intestine.

Oltre a Speranza, nelle ultime ore avevano preso quota due candidature della generazione di “mezzo”, quella dei quarantenni: il ligure Andrea Orlando, 44 anni, terza legislatura, ex Ds, in quota “giovani turchi”; il pugliese Francesco Boccia, 45 anni, seconda legislatura ex Margherita, area Enrico Letta.

Insomma, nella scelta di Speranza ha giocato anche l’esigenza di non premiare eccessivamente l’area di sinistra dei “giovani turchi” guidati da Matteo Orfini, efficaci promotori dell’istanza rinnovatrice che ha portato al primo stop di Franceschini e Finocchiaro.

La domanda è: chi sono gli 84 franchi tiratori che ora rischiano di spaccare il partito alla vigilia delle consultazioni con il Capo dello Stato? All’uscita dalla Camera parlavano tutti di un dissenso presente in tutte le aree del partito. Ma, a rigor di logica, i sospetti sono tutti puntati sui renziani e gli ex Margherita. Il quotidiano libero si spinge addirittura a dire che “le schede bianche siano dei renziani e quelle disperse degli ez dl”.

Pippo Civati, il rottamatore lombardo, non si nasconde e in un’intervista al quotidiano la Repubblica spiega perché ha lasciato scheda bianca. Non ha dubbi su Speranza, “è una figura dialogante, giovane e di talento” ma il suo rappresenta più che altro un “rinnovamento pilotato“. “Non mi è piaciuto il metodo” perché ”dal mio punto di vista pesa che nelle indicazioni per gli incarichi parlamentari, non ci sia nessun eletto con le primarie”.

”Il rinnovamento – ha sottolineato Civati – si è imposto, ma confrontiamoci su come lo vogliamo fare questo rinnovamento”. ”Vorrei che il Pd valorizzasse da subito tutti quelli che hanno voglia di dare un contributo nuovo, di esperienze diverse”. In ogni caso, assicura Civati,  ”la preoccupazione più grande ora è per le prossime mosse che spettano al centrosinistra; e’ per quello che succederà dopo le consultazioni del presidente Napolitano. In questa fase così difficile credo che tutti, inclusi i renziani, saranno collaborativi con Speranza e con Bersani”.