Pd, Veltroni placa le acque: “Il leader c’è ed è Bersani”

Pubblicato il 26 Settembre 2010 - 18:09 OLTRE 6 MESI FA

Walter Veltroni

Walter Veltroni fa un passo indietro e mette le cose in chiaro: non voglio prendere il posto di Bersani nel Pd, dice, il leader c’è, è lui e non lo metto in discussione. Dopo le polemiche seguite alla presentazione del “documento dei 75”, quindi, Veltroni tenta, in un’intervista con Lucia Annunziata nel programma “In mezz’ora”, di placare gli animi. Secondo lui nel Partito Democratico c’è però “un disagio che bisogna ascoltare. Siamo un partito vero, di gente che ragiona con la propria testa”.

Alla domanda dell’Annunziata se in futuro potrebbe essere il responsabile di una spaccatura nel Pd, Vetroni ha risposto in modo deciso: “Scherziamo? Io l’ho fondato, è la ragione di tutta la mia vita politica. Ci ho creduto da sempre. Quello che potrò fare per rafforzarlo e farlo crescere lo farò. Non ho incarichi e non voglio averne. Non c’è motivo per cambiare la leadership”. Però, di fronte alla domanda se voterà Bersani alle primarie, ha messo le mani avanti: “Si vota fra tre anni e comunque impegni sui nomi non ne prendo”.

“Tengo all’unità del mio partito – ha aggiunto – ed è legittimo che Rosi Bindi dica che non si riconosce nel mio discorso del Lingotto. Ma resto della mia opinione e sono convinto che quella è la base di partenza di un partito riformista che sin possa rivolgere a tutti gli italiani in modo positivo. Non posso accettare che mi si dica che con le mie argomentazioni facevo un regalo a Berlusconi. Questa logica appartiene a un passato che non deve tornare. La verità è che il partito dal novembre scorso è passato dal 41 al 26% di consensi. Ce ne vogliamo preoccupare? È chiaro che non si deve cambiare la leadership solo perché calano i consensi. Ma è giusto discuterne”.

Quindi Veltroni è tornato a parlare delle sue dimissioni da segretario, nel febbraio 2009. “Perché mi sono dimesso? Perché mi sono reso conto che non ero in condizione fare quello che volevo fare per il partito che necessitava di un clima sereno, cosa che non c’era. Ora da fuori voglio cercare di dare un mano. Non faccio quello che altri hanno fatto a me e cioè logorami, voglio invece discutere perché in partito nato sul predellino come il Pdl si sfascia, noi che abbiamo storia importante più discutiamo meglio stiamo”.

“L’ex segretario si è quindi rivolto a Berlusconi: “Mercoledì prenda atto del fallimento del centrodestra, è necessario un governo d’emergenza con tutte forze disponibili in Parlamento”. Il videomessaggio di Gianfranco Fini, ha aggiunto, racconta “la fine della storia del centrodestra come lo abbiamo conosciuto dal ’94. Mercoledì prossimo è inimmaginabile che due persone (Fini e Berlusconi, ndr) con una tale lontananza tra loro possano dire in Parlamento “scusate, ci siamo sbagliati e andiamo avanti”. Il centrodestra è finito, Berlusconi si deve dimettere”.

Su Fini Veltroni ha fatto però un’apertura, dicendo che anche se è un politico di destra con lui è possibile dialogare. “Ho visto un video di una persona sincera e onesta”. Lucia Annunziata ha chiesto all’ospite se comprerebbe metaforicamente una macchina usata dal presidente della Camera: “È una persona che ha a cuore i valori della legalità e della giustizia, ma la sua è una macchina molto diversa da quella che vorrei io. Nel discorso di Mirabello ha riconosciuto che le sue radici ideali sono nella figura di Giorgio Almirante”.

PETARDO MEDIATICO – Infine, un attacco contro le campagne mediatiche: «La forma moderna di attentato terroristico è il petardo mediatico che entra nel frullatore, poco importa se sia vero o falso, ma fa parte del clima di sfarinamento del Pese che perde se stesso. Berlusconi ci ha messo in un tunnel da 15 anni, le sue questioni dominano la vita pubblica del Paese, ha introdotto il concetto della distruzione dell’avversario come ora con Fini: se non ti pieghi ti pubblichiamo un dossier. Questo racconta un Paese con la malattia profonda». E sugli attacchi al presidente della Repubblica: «Attaccare Napolitano significa attaccare una persona in cui tutto il Paese si riconosce».