Pdl: Fini prepara il suo “manifesto”, Berlusconi pensa alla distensione

Pubblicato il 19 Aprile 2010 - 09:41 OLTRE 6 MESI FA

Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini

Giornata d’attesa e di tensioni in casa Pdl in vista dell’incontro di martedì tra gli ex An e la crescente distanza tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Ultime ore, dunque, per ragionare su cosa accadrà al partito e alla sua compattezza a una settimana dalla riunione della direzione del Pdl che si terrà giovedì prossimo e in cui molto probabilmente entrambi i fondatori del partito porteranno un proprio documento da mettere al voto.

Sia Fini che Berlusconi, dicono i rumors di Palazzo, pensano a un appello all’unità. Ma da una parte e dall’altra ci sono i “falchi” che spingono verso una divisione.

E in tutto ciò pesa la conseguenza dell’aspro scontro televisivo di venerdì sera tra i finiani Italia Bocchino e Aldolfo Urso “contro” il berlusconiano Maurizio Lupi. Raccontano che Berlusconi stia pensando di deferire sia Bocchino che Urso ai probiviri del partito e ridisegnare la squadra di maggioranza alla Camera e al Senato. Bocchino, in particolare, viene additato dal Cavaliere e dai suoi come l’istigatore di Fini per una possibile rottura nel partito.

Dall’altra parte però, dicono altri, starebbe pensando ad un appello alla compattezza tanto che, per non irritare Fini, il Cavaliere stasera non riceverà Umberto Bossi per la consueta cena del lunedì. Tutte mosse per evitare una rottura irreversibile che danneggerebbe Fini ma che causerebbe dei danni anche al governo. La richiesta che Berlusconi ritiene essenziale per continuare a stare insieme è però la compattezza della maggioranza sulle riforme e soprattutto sulla giustizia.

Dall’altra parte c’è Fini che domani, alla riunione degli ex An, presenterà il suo documento, una sorta di manifesto politico, da portare in direzione giovedì e mettere ai voti. Quattro le richieste principali che verranno avanzate alla direzione del partito dall’ex leader di An: il presidente della Camera contesterà prima di tutto il modo poco collegiale in cui finora sono state prese le decisioni all’interno del Pdl. Poi rivendicherà il diritto di dissentire e chiederà il riconoscimento delle minoranze interne al partito. Dirà ancora una volta no al traino leghista e, infine, spronerà i compagni di partito a cercare fino all’ultimo un confronto con l’opposizione sul tema delle riforme.

Domani sarà anche l’occasione in cui Fini potrà testare la compattezza degli uomini a lui vicini su cui fare leva in questa “battaglia” tutta interna al Pdl. Il numero esatto non si sa. Fini sa di poter contare su uno spicchio, che ormai non è più il 30% iniziale. Il fedelissimo Bocchino parla di 40 deputati e 20 senatori, il doppio di quanto necessario per dar vita a gruppi autonomi. Feltri, anche ieri, infieriva dalle colonne del quotidiano sul “Fini scaricato dai suoi”.

Tra i sostenitori del presidente della Camera circolano tre ipotesi: ci sono i “falchi” come Briguglio che iniziano a pensare di fondare un partito dopo i gruppi parlamentari e magari di rifondare la defunta An riconquistando quella parte dell’elettorato di destra che è rimasto spaesato dalla nascita del Pdl. Poi ci sono le “colombe” che spronano a trattare fino all’ultimo per arrivare a un documento unitario. Infine c’è una terza ipotesi, la più accreditata, sulla possibilità di creare una “minoranza interna in un partito plurale”, per dirla con le parole di Adolfo Urso.