Pdl, è scontro aperto in Direzione tra Berlusconi e Fini

Pubblicato il 22 Aprile 2010 - 10:06 OLTRE 6 MESI FA

Se vuoi fare politica dimettiti dalla presidenza della Camera, dice Berlusconi a Fini. E il cofondatore del Pdl urla: “Che fai? Mi cacci?”. E’ rottura totale tra Berlusconi e Fini alla Direzione del Pdl. Anzi, è quasi una rissa.

Berlusconi inzia tentando di mediare, con un approccio soft, cercando di venire incontro alle richieste dei finiani. Il presidente della Camera prende la parola dopo capigruppo e ministri e non tace, come aveva avvisato: inizia a togliersi tutti i “sassolini” nelle scarpe, inizia ad elencare, una ad una tutte le questioni che non vanno nel partito. Sottolineando che le sue non sono “questioni personali”, che lui “non ha tradito”, che non “attenta alla leadership di Berlusconi” ma che sta solo “esprimendo le proprie idee”. Fini parla a ruota e il premier ad ogni minuto che passa ha il volto più corrucciato. Più di una volta tenta di bloccarre il discorso del compagno di partito: fa gesti, si contorce, a volte grida contro Fini. Poi quando Fini finisce di parlare, Berlusconi torna sul palco e affonda il colpo. Alla fine gli dice: se vuoi fare politica dimettiti da presidente della Camera. Fini si alza e dice: “Che fai mi cacci?”

Discorso di Berlusconi. Nel corso dei saluti di indirizzo della Direzione, Berlusconi rivendica risultati e successi del governo, assicura che la democrazia è la stella polare del partito, promette il congresso nazionale entro l’anno, si impegna a fare le riforme “con il consenso di tutti”, assicura che il Pdl non è mai stato subalterno alla Lega. Sceglie un approccio morbido verso le richieste del gruppo di Fini. Mentre si dichiara disposto al dialogo, però, nomina Fini sono quando elenca gli interventi che si terranno durante la giornata. E lo fa definendo Fini “uno dei cofondatori del Pdl”, insieme ai “minori” Gianfranco Rotondi e Carlo Giovanardi. Smacco che Fini non tarderà poi a sottolineare nel corso del suo intervento.

L’approccio “soft” è comunque ribadito, nel corso degli interventi, dai coordinatori Ignazio La Russa e Denis Verdini e dai ministri, che tentano la mediazione anche se non risparmiano le critiche. Sandro Bondi sceglie invece la linea dura e attacca apertamente quei “bizantinismi” che, dice, creano danno al partito.

L’apertura più evidente del Cavaliere riguarda l’impegno sulle riforme, da fare cercando l’accordo di tutti, come chiede Fini. “Mi sono impegnato con l’opposizione – dice Berlusconi – di mandare avanti le riforme soltanto se sapremo trovare un accordo perché le istituzioni riguardano tutti i cittadini e quindi è giusto che le riforme siano fatte con una grande maggioranza di cittadini”.

Ma un’apertura alle istanze finiane può essere letta anche nella possibilità di convocare entro l’anno il congresso che poi potrebbe ripetersi ogni anno. Forse anche per questo Berlusconi respinge le critiche sulla mancanza di democrazia nel Pdl. “‘Non ritengo si possa dire che il nostro non sia e non sia stato un partito democratico”. E mette l’accento sui consensi che gli vengono dai cittadini: “Il presidente del Consiglio – sottolinea parlando di se stesso in terza persona – ha il 63,33 per cento: un consenso bulgaro”.

Oltre che con la convocazione dei congressi, il premier insiste sul tasto della democrazia interna dicendo di voler “moltiplicare i luoghi di confronto”. La sua proposta è di riunire l’ufficio di presidenza l’ultimo giovedì di ogni mese e la direzione nazionale ogni due mesi. Quanto alle polemiche o alle acuse di cesarismo – comunque non ricordate nel suo discorso – Berlusconi ha fatto presente che per quanto riguarda gli organigrammi così come per i candidati alle Regionali “il presidente del partito non ha mai imposto la sua volontà: non c’é un solo uomo – ha detto – in nessun posto che il presidente abbia imposto. Quando mi chiedono qualcosa – ha detto ancora Berlusconi sorridendo – la mia risposta è sempre la stessa: sono ai vostri ordini”.

“Siamo nella situazione – aggiunge – di poter guardare con fiducia e ottimismo ai prossimi tre anni di lavoro. In genere, mai nessun governo ha potuto contare su un’intera legislatura, in media duravano 11 mesi, noi abbiamo il merito e la fortuna di avere tre anni di lavoro davanti per completare la realizzazione del nostro programma”. E anche per questo, ha concluso, “credo che questo incontro possa essere molto positivo” perché “affrontiamo la direzione con l’animo sereno di chi sa di aver adempiuto al suo dovere”.

Fini. Poco prima di mezzogiorno prende la parola il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che esordisce parlando di una «riunione necessaria per fare chiarezza». E a scanso di equivoci, il presidente della Camera ha detto di vedere anche nella regia dell’avvio dei lavori della direzione nazionale «c’è stato l’atteggiamento puerile di chi vuole nascondere la polvere sotto il tappeto».

I tempi, per chi si iscriverà a parlare, saranno ovviamente contingentati. Lo stesso Berlusconi, questa sera, ha spiegato che nel corso della Direzione nazionale tutti potranno partecipare alla discussione.

«Avere delle opinioni diverse rispetto al presidente del partito la cui leadership non è messa in discussione – ha poi detto Fini – significa esercitare un diritto-dovere. E’ possibile derubricare delle valutazioni diverse come se si trattasse di mere questioni di carattere personale?». «E’ stata una caduta di stile – ha aggiunto rivolto a Bondi – citare questioni polemiche nel confronto del presidente del consiglio quando sono stato io oggetto di forti polemiche e attacchi mediatici da giornalisti lautamente pagati da stretti famigliari del presidente del Consiglio». E ha poi contestato le accuse di «tradimento» che gli sono state rivolte da più parti nel fronte del Pdl.

Dopodiché è passato a rivendicare l’esigenza di un Pdl davvero democratico. «Siamo in una giornata che cambia le dinamiche del Pdl – ha detto -. Non ci può essere chi viene messo al rogo. In tutte le famiglie politiche europee la leadership forte è frutto di una sintesi tra posizioni anche diverse». Altro capitolo il rapporto con la Lega: «Al Nord stiamo diventando la loro fotocopia, siamo appiattiti sulle loro posizioni». Fini ha citato le politiche contro l’immigrazione, la mancata abolizione delle province, la mancata privatizzazione delle municipalizzate, tutti temi cari ai Lumbard. «Bossi sa esattamente cosa vuole e lo raggiunge con grande difficoltà». E dalle elezioni, per il numero uno di Montecitorio, è venuto fuori in tutta la sua prepotenza lo squilibrio tra Pdl e Lega: «Nel 2010 la Lega risulta prima in nove province del nord, nel 2005 non lo era in alcuna. Ed è passata dal 19 al 25% del nostro elettorato».

Fini ha poi parlato di difesa della legalità «che vuol dire più dell’elenco puntiglioso di operazioni delle forze dell’ordine: serve riforma della giustizia ma non bisogna dare l’impressione che serva a garantire sacche maggiori di impunità. E qualche volta l’impressione c’è, quando si ipotizzava la prescrizione breve era questo il messaggio che si dava».

La replica di Berlusconi. Poi ha ripreso la parola Berlusconi e subito sono state scintille: «E’ la prima volta che sento queste cose, non mi sono mai arrivate proposte in tal senso». Fini ha cercato di replicare dal pubblico e sono volate parole forti e dita puntate. Poi Berlusconi al microfono lo ha attaccato: «Tu nei giorni scorsi hai detto di esserti pentito di aver fondato il pdl».

Berlusconi ha però poi attenutato i toni e ha detto di accogliere la proposta di un coordinamento dei governatori del Pdl per analizzare le modalità con cui attuare il federalismo fiscale. Quanto alla Lega, il Cavaliere ha ricordato che il partito di Bossi «ha fatto proprie le posizioni che erano di An sull’immigrazione e che poi sono state abbandonate». Quanto alle province, ha detto Berlusconi, abbiamo chiesto l’eliminazione delle province inutili, non delle province in sè. «Perché l’abolizione delle province porta ad un risparmio di soli 200 milioni» perché costi e competenze passerebbero alle regioni (tranne gli emolumenti dei consiglieri provinciali) e «sarebbe una manovra che scontenterebbe i cittadini».

«I tuoi rilievi – ha poi detto Berlusconi rivolgendosi a Fini – sono cose che rappresentano percentualmente una piccola parte rispetto a tutto quello che si è fatto. Valeva la pena mettere in discussione il ruolo super partes di presidente della Camera per fare contrappunto quotidano a noi? Queste cose le fai da uomo di partito e non da uomo della Camera», riprendendo così la posizione anticipata da Schifani che già aveva sollevato critiche e perplessità tra molti parlamentari ed esponenti politici, essendo la nomina del presidente dell’assemblea votata dall’assemblea stessa e non decisa dai vertici.

Il giorno della verità. E’ arrivato, dunque, il giorno della resa dei conti nel Pdl. Dalle 10, all’Auditorium della Conciliazione di Roma si sono riuniti 477 partecipanti alla Direzione Nazionale del Pdl, lì dove si affrontano le due anime del partito: quella dei “berluscones” e quella dei “finani”.

Sarà una giornata dura, una no stop che si concluderà intorno alle 18 con uno o più voti dei 172 aventi diritto. Un’occasione per fare il punto della situazione, per arrivare al chiarimento o alla rottura.

I sostenitori di Berlusconi, tra gli ultimi e più autorevoli il presidente del Senato Renato Schifani, esortano Fini a rientrare nei ranghi e a considerare il consenso di cui il presidente gode nel partito e nel Paese. Schifani addirittura lancia un aut aut a Fini dicendo: o la politica o la presidenza della Camera.

Ma il fronte finiano non sembra disposto a fare marcia indietro senza ottenere almeno maggiori garanzie su una maggiore democrazia interna che vada oltre le cene ad Arcore tra Berlusconi e il Senatùr.

Nelle intenzioni del premier c’è quella di presentare un documento che pieghi la minoranza con disciplina alle decisioni prese a maggioranza. Altrimenti, se questo non dovesse essere, il premier non esclude più nulla: “È chiaro che, se dovessero mettere a repentaglio il programma di governo, l’unica sarebbe tornare davanti agli elettori”.

Ordine dei lavori. Ad aprire i lavori, con un indirizzo di saluto è stato, appunto, Silvio Berlusconi che si è congratulato per il risultato elettorale («nonostante la campagna d’odio nei nostri confronti e nonostante gli attacchi delle magistrature politicizzate») e ha rivendicato i successi del governo tornando sui temi dell’emergenza rifiuti in Campania, degli interventi post terremoto in Abruzzo, della tenuta sul fronte economico nonostante la crisi.

Il Cavaliere si riserverà anche l’opzione della replica finale. Subito dopo il premier, salgono sul palco per prendere la parola i tre coordinatori nazionali, Sandro Bondi, Ignazio La Russa e Denis Verdini. Quindi i ministri e solo all’ultimo Fini.

Sandro Bondi, in particolare, ha scaldato la platea urlando a gran voce che nel Pdl «non ci sono uomini liberi e servi» e ha attaccato alcuni intellettuali di centrodestra a suo parere troppo critici con il partito e con il suo leader, «una personalità che come riconoscono tutti giganteggia sugli altri». «Non vogliamo un partito con tanti intellettuali e pochi elettori» ha poi detto. E ha esortato il centrodestra a non lasciarsi contagiare «dalla stessa sindrome che ha segnato la disfatta della sinistra», ovvero lo scollamento dalla realtà. Una realtà che, è stato il senso, ha espresso il proprio sostegno alla politica di questo Pdl a leadership Berlusconi. Inoltre, Bondi ha criticato i “frondisti” del Pdl perché, ha detto, “non si può stare in un partito criticandone il fondatore” poi si è scagliato contro chi i “bizantinismi”, le “formule astratte”, il “cupio dissolvi” che anima certe polemiche.

Ignazio La Russa ha invece spiegato che le storie di An e Forza Italia sono compatibili all’interno del Pdl e che non devono essere divise. E ha evidenziato come la Lega non abbia battuto il Pdl, nonostante certe letture del voto di fine marzo. Anche Berlusconi ha evidenziato questo aspetto, ribadendo che «il Pdl non è al traino della Lega»: «I nostri elettori sono tre volte quelli della Lega, noi abbiamo 20 ministeri e loro 3 ministri ma in realtà 2 ministeri: un decimo rispetto a quelli del Pdl. E in 89 consigli dei ministri i verbali non hanno mai registrato una occasione in cui il Pdl si sia dovuto fare indietro rispetto ad una proposta della Lega o avesse dovuto dire sì a qualcosa di non condiviso».

Renato Schifani. Schifani, in mattinata, è tornato sulla questione Fini e ha evidenziato che sarebbe utile non solo un suo disimpegno dalla persidenza della Camera ma anche il suo ingresso nel governo. «E’ una proposta che va vista in chiave costruttiva e non polemica – ha spiegato -. Ritengo che le incomprensioni e le tensioni all’interno del centrodestra tra Berlusconi e Fini, potrebbero essere meglio risolte con una maggiore presenza politica di Gianfranco Fini nel governo, in quanto lavorerebbe fianco a fianco con Berlusconi e si potrebbero realizzare quelle intese sulla politica del governo, agendo sullo stesso piano».