“Processo breve oppure estinto?”. Barricate, sotterfugi e bugie della “riforma storta”

Pubblicato il 12 Novembre 2009 - 17:09 OLTRE 6 MESI FA

Alfano scherza al cellulare

Questa è la vera storia del “processo breve”, un principio sano però guastato da troppa furbizia. Avvertenza quindi al lettore, dalle prossime righe ci si avvia a una missione impossibile o quasi: districarsi nelle e liberarsi dalle opposte propagande. Dice la legge stesa in tre soli articoli dall’avvocato Ghedini e firmata dai capigruppo parlamentari del Pdl e della Lega: «Non sono irragionevoli tempi per la durata del processo che non superino i due anni per ogni grado di giudizio…Superati i tempi di ragionevole durata, il processo è estinto».

Dal momento in cui la nuova legge fosse prima votata dal Parlamento e poi pubblicata in Gazzetta Ufficiale, la nuova regola vale per i processi che sono in primo grado e per gli imputati non precedentemente condannati, i cosiddetti “incensurati”. E vale per i processi per reati la cui pena massima prevista non è superiore ai dieci anni. Sono esclusi i processi per associazione a delinquere, incendio, pornografia minorile, sequestro di persona, violazione delle leggi per la sicurezza sul lavoro,  circonvenzione di incapace,  violazione alle norme della circolazione stradale e del riciclo e smaltimento dei rifiuti, violazione delle norme sull’immigrazione. Oltre che, ovviamente, i processi per reati quali mafia e terrorismo. La regola del processo breve, sintetizzabile in «non più di sei anni e non più di due per ogni sentenza» vale per i processi per corruzione, reati finanziari in genere e per tutti i reati che non sono compresi nella lista degli esplicitamente “esclusi”.

Dice la maggioranza di governo che ha firmato il progetto di legge: il “processo breve” serve ai cittadini e alla giustizia, non è pensato e fabbricato per servire a Berlusconi. Non è vero, almeno non del tutto. Grazie al “processo breve” il premier ha altissime probabilità di veder “estinti” i processi in corso che lo riguardano. La clessidra dei «due anni e non di più» per ogni sentenza, fatta partire da Ghedini dal giorno del rinvio a giudizio da parte del Pubblico ministero, consegna all’imputato Berlusconi questa “ragionevole” speranza. Ed è comunque un fatto noto e accettato anche dalla maggioranza di governo che di “processo breve” neanche si sarebbe parlato se non in accademici convegni, se Berlusconi non avesse dei processi da “estinguere”. Infatti fino a che Berlusconi era protetto dallo “scudo Alfano” non se ne parlava. Contro prova logica e inoppugnabile che si “abbreviano” i processi partendo e pensando a quelli del premier? Eccola: la nuova regola sarebbe indiscutibile sotto questo profilo se non fosse retroattiva, se fosse un «da adesso in poi…». E poi è la stessa propaganda di maggioranza e di governo ad ammettere, anzi a rivendicare il diritto del premier a “governare in tranquillità”. Tranquillità che c’è, dicono loro, quando appunto i processi sono “estinti”.

Dice la propaganda dell’opposizione: il “processo breve” è un’invenzione che serve solo a Berlusconi. Non è vero, almeno non del tutto. Non era questo che Berlusconi voleva. Lui e Ghedini volevano la “prescrizione breve”, cioè la sicurezza matematica di poter, rinvio dopo rinvio, portare i processi del premier ad estinzione. Poco male se, insieme a quelli del premier, ad estinzione si condannavano tutti o quasi i processi in corso: la tranquillità valeva bene un’amnistia di fatto. Fini ha detto no alla “prescrizione breve” e Berlusconi si è di mala voglia non accontentato ma adeguato. Dal “processo breve” Berlusconi si sente sì aiutato ma per nulla garantito, infatti il suo partito, il Pdl vuole ora il ripristino della “immunità parlamentare”, uno “scudo” di fatto totale rispetto alla magistratura, alla legge e ai processi. Scudo per il passato, il presente e soprattutto il futuro. Se il “processo breve” fosse solo tagliato a misura di Berlusconi, Berlusconi e il Pdl non si agiterebbero tanto e non cercherebbero altro.

Al netto delle opposte propagande non c’è una posizione “terzista”, equidistante o “cerchiobottista”. C’è la realtà di un principio civile: la ragionevole durata del processo. E termini di tempo per il processo, sei anni in tre tranches, altrettanto ragionevoli. Rifiutare e rigettare il principio evocando i “centomila processi a rischio” è argomento capzioso. Centinaia di migliaia di processi con le regole che ci sono già rischiano di fatto l’estinzione e non è giustizia quella che commina sentenze dopo una durata media del processo di dieci anni. Per fare processi e sentenze in sei anni e mai più di sei i magistrati hanno bisogno di fondi e strutture. Ma non possono gridare al “principio ingiusto”. L’Associazione nazionale magistrati parla di legge “devastante”. Devastante certo per le conseguenze di alcune incongruenze e storture che nella legge ci sono e che tra poco esamineremo. Ma devastante anche rispetto allo stato attuale dell’amministrazione della giustizia in Italia, è questo è un buon devastare.

Eccoli i problemi giuridici, anche pesanti e notevoli, le storture della legge in arrivo. Perché “brevi”  solo i processi in primo grado? Non tutti gli imputati hanno diritto alle stesse regole? E perché solo gli incensurati? Vale la stessa obiezione di mancata eguaglianza. E perché considerare meritevoli di “processo breve” i reati di corruzione e concussione e non quello ad esempio di furto aggravato? Troppo evidente e palesemente ingiusta è la logica che semplifica la vita agli imputati di reati “eccellenti” rispetto a quelli processati per reati “volgari e plebei”. Ingiusta e probabilmente anticostituzionale.

Al netto delle opposte propagande ci sono un governo e una maggioranza che “inventano” una riforma del processo tanto necessaria e utile quanto storta e piegata alla fretta e alle urgenze del premier. Riforma diritta: i sei anni, il limite di tempo. Riforma distorta: il diverso trattamento dei diversi reati. E c’è un’opposizione che vede e denuncia le storture ma non vede e non vuol vedere la necessità e l’utilità di una riforma. In nome dei processi del premier, per non farli fare ad ogni costo, la maggioranza insopportabilmente distorce una riforma buona per i cittadini. In nome dei processi del premier, per farli fare ad ogni costo, l’opposizione abdica e rinuncia a qualsiasi riforma a vantaggio dei cittadini.

E tutto questo è normale, anzi è la norma in un paese assai strano. Un paese in cui un parlamentare, Nicola Cosentino, per cui la magistratura ha chiesto l’arresto viene giudicato dalla pubblica opinione e anche da buona parte del suo partito non candidabile alla guida della Regione Campania, però può restare tranquillamente sotto segretario al governo. Qual è la norma, la regola? Chi ha avuto, ha avuto…? Un paese nel quale si vuole ripristinare l’immunità parlamentare raccontando che fu inserita in Costituzione per difendere gli eletti dal potere giudiziario. Fu inserita per difendere gli eletti, dopo la dittatura, dal potere esecutivo. Cioè dal governo che, durante il ventennio, comandava sulla magistratura. Non c’è oggi una proposta di riforma della giustizia che tende a mettere i magistrati sotto il controllo dell’esecutivo? C’è, eccome. Forse in questo strano paese sarà il caso di pensarci all’immunità per gli eletti.