Prodi: Federalismo spinto per il Pd. Bersani: un progetto che coinvolge l’intero paese

Pubblicato il 12 Aprile 2010 - 09:49 OLTRE 6 MESI FA

Romano Prodi

Romano Prodi esce allo scoperto e con un intervento pubblicato dal quotidiano Il Messaggero, auspica un partito a federalismo spinto, ovvero un Pd organizzato regione per regione. Questa la ricetta proposta dal Professore per superare  i “deludenti risultati ” delle elezioni regionali ed un Pd troppo autoreferenziale. Più nel dettaglio l’idea di Prodi è che tutto il potere sia affidato ai venti segretari locali, ai quali verrebbe affidato anche il compito di eleggere il capo del partito, dando così l’addio al sistema delle primarie.

Naturalmente l’uscita di Prodi ha suscitato commenti e valutazioni diverse e contrastanti. Favorevole Sergio Chiamparino:« Solo così – ha spiegato il sindaco di Torino-possiamo competere con la Lega, o magari anche allearci in certe situazioni».

Freddezza viene invece dagli stati maggiori del Pd, sia da parte della maggioranza che dell’opposizione. Il sospetto è che l’uscita improvvisa e molto pesante dell’ex premier, sia un vero e proprio siluro lanciato contro Pier Luigi Bersani. Lo ha detto con molta chiarezza il deputato di area popolare Giorgio Merlo secondo il quale Prodi mirerebbe a “defenestrare il segretario”. Di Prodi prende invece le difese l’ex sottosegretario Ricky Levi e amico del Professore, che così ha puntualizzato:” Bersani era l’unico informato del suo articolo, e anzi le le parole di Prodi sono in realtà una palla alzata proprio a lui”.

In ogni caso lo staff del segretario è apparso molto freddo sull’uscita di Prodi. Maurizio Migliavacca, il capo dell’organizzazione, ha definito l’intervento un utile contributo al radicamento del partito, precisando per contro che si tratta di un disegno di lungo termine. Mentre il leader dei popolari del Pd, Beppe Fioroni  è apparso  decisamente contrario affermando che non si può oscillare dal partito del lavoro alla Lega di sinistra, tra chi vive di rimpianti e chi insegue Bossi.

L’analisi di Prodi sul Pd è impietosa. Un partito che ha rapporti “troppo deboli” con il territorio e con i problemi quotidiani degli italiani. In balia di una linea politica messa continuamente in discussione “dalle dichiarazioni o le interviste dei notabili”. Del tutto conseguente, in questo quadro, che il risultato delle regionali sia stato “inferiore alle aspettative”. Per uscire dal guado, serve assolutamente un Pd delle regioni, federale. Recuperando una sua vecchia proposta lanciata ai tempi della crisi della Dc, come ricorda lo stesso Prodi, si tratterebbe ora di metter su un Pd lombardo, emiliano, laziale o siciliano. E il partito nazionale? Da consegnare nelle mani dei venti segretari regionali, eletti con le primarie, e chiamati a far parte di un esecutivo che dia la linea politica. L’unico e solo vertice centrale del Pd in salsa Prodi, “avendo il coraggio di cancellare organismi che si sono dimostrati inefficaci”.

La risposta di Bersani non si è fatta attendere. Le considerazioni di Romano Prodi  – ha detto – sono «un contributo utile ad illuminare non solo le possibili prospettive di un partito come il Pd ma la forma stessa degli assetti democratici del Paese».  «Oggi la scelta federale può essere il progetto di una nuova unità o l’alibi per il suo affossamento – ha aggiunto Bersani – Siamo al tema delle architetture politiche ed istituzionali».

Su questo tema il segretario del Pd  ha precisato che «non si può prefigurare un modello istituzionale fortemente federale affidando allo stesso tempo gli elementi di garanzia unitaria alle tempeste della contesa politica». Per Bersani all’interno del partito «i meccanismi di rappresentanza, di direzione e di selezione delle classi dirigenti dovranno determinarsi più nettamente a partire dal territorio». «Una leadership forte nella dimensione regionale – ha affermato – non potrà emergere davvero senza meccanismi che partano dalla dimensione locale. D’altra parte, la partecipazione delle leadership regionali ai luoghi di direzione centrale dovrà legittimare una possibilità di intervento dal centro, possibilità che oggi è troppo debole». E’ un processo che, secondo il segretario, non dovrà riguardare un partito solo, ma «bisognerà allestire elementi generali di garanzia nel rapporto tra cittadini, partiti politici e Stato».