Quirinale, Napolitano lascia il 14 gennaio. Padoan, Renzi gioca la carta

di Redazione Blitz
Pubblicato il 24 Dicembre 2014 - 09:49 OLTRE 6 MESI FA
Quirinale, Napolitano lascia  il 14 gennaio. Renzi si gioca la carta Padoan...

Pier Carlo Padoan

ROMA – Per il momento la certezza è una sola: il 14 gennaio 2015 Giorgio Napolitano si dimette. Lo aveva annunciato da tempo, e da tempo è infatti cominciato il toto-Quirinale. Chi sarà il prossimo Presidente della Repubblica? Di nomi ne stanno girando tanti, forse anche troppi, tant’è che già ci sono le quote sul nome del successore di Napolitano. Da Romano Prodi a Stefano Rodotà, da Walter Veltroni a Mario Draghi. Difficile trovare un nome, una figura, che accontenti centrodestra e centrosinistra. Ma a questi nomi se ne va ad aggiungere un altro: quello dell’attuale ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, con Lorenzo Bini Smaghi che prenderebbe il suo posto al Tesoro.

Il retroscena che avrebbe del clamoroso ma sarebbe anche una soluzione logica (perlomeno per il premier Matteo Renzi), lo riporta sul Corriere della Sera Maria Teresa Meli:

Qualcuno ha messo subito in relazione l’assenza dallo staff di Renzi di un’economista di vaglia, esperta delle tematiche tedesche e autrice di un libro che per l’appunto si intitolava «Il metodo Merkel» con il rapporto che la lega a Lorenzo Bini Smaghi, di cui è la moglie. Il quale Lorenzo Bini Smaghi non è certo in buone relazioni con il presidente della Bce Mario Draghi, ma i suoi rapporti con il premier sono rimasti immutati. Ed entrambi, lo scorso settembre, erano al matrimonio di Marco Carrai, che di Renzi è amico fraterno.

A quel punto più d’uno, nel mondo della politica, ma non solo in quello, si è domandato se l’inquilino di palazzo Chigi non avesse in mente, per il futuro, un nuovo incarico per Bini Smaghi e che per questa ragione avesse preferito non mettere in squadra la moglie. Magari il posto di ministro dell’Economia? Ma la voce fu stoppata subito: non c’è nessun rimpasto in vista e con Pier Carlo Padoan tutto filava liscio.

Passano i giorni, anzi, i mesi e il 16 dicembre, nel suo saluto alle alte cariche dello Sato, Giorgio Napolitano non preannuncia l’addio al Quirinale, anche se lascia capire che la strada delle dimissioni anticipate è ormai tracciata, e, nel frattempo, si diffonde in elogi nei confronti del ministro dell’Economia, di cui esalta «il valore» e «l’affidabilità». È una candidatura implicita per il più alto Colle, chiede qualche giornalista a Padoan? Il quale, imperturbabile, si cela dietro un sorriso, che come sempre in questi casi vuol dire tutto e niente, o anche tutto e il contrario di tutto.

Il nome di Padoan sarebbe certo una garanzia per il governo Renzi. Lo è anche quello di Prodi, ma nonostante l’appoggio di tutto il centrosinistra, resta difficile vedere Lega, M5S o Forza Italia votarlo per il Colle. E Draghi? Il suo nome è circolato insistentemente negli ultimi giorni ma il presidente della Bce ha iniziato un lungo percorso di riforme in Europa, in particolare con la Merkel. Lasciare tutto per tornare a ricoprire una carica in Italia sarebbe impensabile. Oltretutto Draghi finora non è che abbia fatto la guerra a Renzi, ma poco ci manca… Ecco allora perchè il nome di Padoan, tra tutti quelli circolati finora sarebbe quello più logico e fattibile. Almeno per ora.

Sul Fatto del 20 dicembre, Massimiliano Scafi, ha tracciato uno scenario un po’ più aperto, in cui si inserisce, ma solo come oggetto di ironia, il presidente del Senato Pietro Grasso:

“Pietro Grasso non vede proprio l’ora di farsi le foto accanto ai corazzieri. «Affronterò quei giorni di supplenza nel pieno rispetto della prassi costituzionale e con il massimo impegno», spiega durante la cerimonia degli auguri di Natale. Il presidente del Senato è la seconda carica della Repubblica e quindi entra di diritto nell’elenco teorico dei candidati al Soglio. Ma in realtà solo Francesco Cossiga è riuscito a fare il grande salto, per gli altri la maledizione di Palazzo Madama è sempre scattata inesorabile: Merzagora, Spadolini, Fanfani, Marini, quanti delusi. E anche stavolta sarà difficile che Grasso traslochi al Quirinale. Al massimo, lo vedremo «svolgere le funzioni» a Palazzo Giustiniani.
Grasso infatti non è nelle terne che contano.

Grasso non compare neanche nella rosa di Giorgio Napolitano. Se infatti funzionasse come in una monarchia, King George lascerebbe volentieri il trono a Giuliano Amato, personaggio di sinistra ben visto da Berlusconi. Ma chi lo vota tra i mille grandi elettori?

Al secondo posto nel cuore del capo dello Stato c’è la cinquantenne costituzionalista lombarda Marta Cartabia, appena nominata vicepresidente della Corte costituzionale. Cattolica, moderatamente di sinistra, giovane, donna, non politica: cosa volete di più?
Poi c’è Sabino Cassese, giurista, ex membro della Consulta, ministro della Funzione pubblica del governo Ciampi.

La quarta opzione è Sergio Mattarella, figlio del Piersanti presidente della Regione Sicilia ucciso dalla mafia, ministro della Dc e poi dell’Ulivo, ex giudice della Corte Costituzionale, inventore del Mattarellum, il sistema elettorale semi-maggioritario degli anni ’90. Se vale ancora la regola per cui dopo un laico tocca a un cattolico, Mattarella potrebbe avere il profilo giusto per succedere a Napolitano. Bisognerebbe però vedere prima che cosa ne pensa Silvio Berlusconi, che ancora si ricorda le sue dimissioni dall’ultimo Governo Andreotti, insieme ad altri ministri della sinistra dc”,

per forzare la mano a Andreotti, che non si decideva ad agire contro l’occupazione di Repubblica, del Gruppo Espresso e della Mondadori da parte di Berlusconi. La ferita nella memoria di Berlusconi è ancora così aperta che nell’aprile del 2013, quando Mattarella era il primo della terna (con Amato e Franco Marini) dei candidati del Pd a Presidente della Repubblica, Berlusconi lo depennò costringendo l’ineffabile Pierluigi Bersani a ripiegare su Marini. Riferisce ancora Massimiliano Scadi che secondo un sondaggio dell’Ixe per Agorà

“gli italiani si sono espressi in maggioranza per un Napolitano-ter. Segue Emma Bonino, davanti a Prodi e Draghi. Staccati Padoan e Veltroni”.