Raffaele Marra resta in carcere: lo ha deciso la Cassazione

di redazione Blitz
Pubblicato il 16 Marzo 2017 - 22:45| Aggiornato il 17 Marzo 2017 OLTRE 6 MESI FA
Raffaele Marra resta in carcere: lo ha deciso la Cassazione

Raffaele Marra resta in carcere: lo ha deciso la Cassazione (Foto Ansa)

ROMA – Raffaele Marra deve rimanere in carcere, al Regina Coeli di Roma, dove si trova recluso dallo scorso 16 dicembre quando è stato arrestato con l’accusa di corruzione. Lo ha deciso la Corte di Cassazione.

Secondo i pm l’ex braccio di ferro della sindaca di Roma, Virginia Raggi, si sarebbe fatto dare dall’immobiliarista Sergio Scarpellini 370mila euro nel 2013 per acquistare un appartamento nel quartiere capitolino dei Prati Fiscali, in cambio di favori connessi alla sua funzione, quando era direttore del Dipartimento partecipazioni e controllo del Comune.

La decisione emessa dai Supremi giudici è una prima conferma della solidità dell’inchiesta che ha colpito il cuore del Campidoglio. A chiedere la conferma dell’ordinanza del Tribunale del riesame della Capitale, che lo scorso 4 gennaio aveva convalidato la massima misura cautelare, era stato anche il sostituto procuratore generale della Suprema Corte Roberto Aniello.

 

La decisione della Suprema Corte è arrivata pochi giorni dopo che l’ex uomo di fiducia della Raggi è stato rinviato a giudizio con rito immediato e fissata per il prossimo 25 maggio l’udienza per il processo immediato.

Niente passaggio davanti al gup, dal momento che la Procura ritiene di avere in mano prove schiaccianti per dimostrare che Marra ha preso tangenti. Insieme a lui è stato rinviato a giudizio anche Scarpellini, che si trova ai domiciliari su disposizione del gip.

In base all’indagine dei pm romani, nel 2009 l’immobiliarista avrebbe venduto a Marra anche un altro appartamento con uno ‘sconto’ di mezzo milione di euro sempre per ricevere ‘facilitazioni’, ma questo caso è prescritto.

Marra è indagato anche in un’altra inchiesta, in concorso con la sindaca Raggi, quella nella quale è accusato di abuso di ufficio in relazione alla nomina di suo fratello Renato a capo del Dipartimento del turismo del Campidoglio, nomina poi revocata.