Referendum: parte la battaglia dell’acqua pubblica

Pubblicato il 1 Giugno 2011 - 00:11 OLTRE 6 MESI FA

MILANO – Appena spentasi l’eco dei risultati delle Amministrative, che hanno segnato la secca bocciatura dei candidati di centro-destra con le pesanti sconfitte a Milano e Napoli, uno dei nuovi terreni di scontro della battaglia politica è la tornata referendaria del 12 e 13 giugno, con gli italiani chiamati a pronunciarsi sul nucleare, sul legittimo impedimento e sull’acqua pubblica. Ed è in particolare quest’ultima controversa questione, riguardante un bene intangibile per eccellenza, a scaldare gli animi creando una forte contrapposizione all’interno della società civile.

Perché sì. “Una battaglia per difendere l’acqua dagli speculatori e dagli interessi privati. Contro la logica del mercato, che vuole che ogni aspetto della nostra vita sia sottoposto alle sue regole”. È così che il sito del Comitato promotore per il sì al referendum sull’acqua, descrive l’obiettivo dell’abrogazione di due articoli di legge che, se lasciati in vigore, determinerebbero “la definitiva consegna ai privati dei servizi idrici in questo Paese” consentendo loro “di fare profitti sull’acqua”. Due tematiche fondamentali e spesso ignorate, sulle quale il Comitato lamenta “l’oscuramento sulle reti televisive”, invitando a una mobilitazione popolare che tramite il passaparola, anche telematico, riesca a portare alle urne 25 milioni di italiani.

Perché no. Di parere decisamente diverso è Andrea Boitani, economista dell’Università Cattolica di Milano: «Si fa della grave disinformazione. La legge che si vuole abrogare non prevede alcuna privatizzazione né delle risorse né dei servizi idrici. Ma solo che anche questi ultimi, come altri servizi pubblici locali, debbano essere messi in gara o che alternativamente l’ente, se sceglie la via dell’affidamento diretto, debba cedere una quota di almeno il 40 per cento della proprietà della società di gestione, e non certo dell’acqua che è e rimane una risorsa comune».

Secondo Boitani una maggiore apertura alla concorrenza garantirebbe l’individuazione del gestore (pubblico o privato) più efficiente senza influire necessariamente sulle tariffe, che sarebbero comunque fissate da un soggetto pubblico. In realtà, conclude l’economista, il problema non sarebbe di gestione, «perché sia quella pubblica sia quella privata possono risultare efficaci o inefficaci. L’importante è che alla concorrenza si affianchi un’attenta opera di regolazione del settore. E in questo senso è incoraggiante l’intenzione del legislatore di introdurre un’autorità indipendente a questo scopo».