Quasi 30 milioni di “Basta” piovono sul governo Berlusconi

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 13 Giugno 2011 - 12:13 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Quasi trenta milioni di “Basta”. Quanto basta per quasi “abrogare” il governo, il governo di quel Berlusconi di cui l’elettorato non si fida più, anche se è tutto da provare che abbia deciso di affidarsi a qualcun altro.

Di Berlusconi la maggioranza degli elettori non si fida più, non segue più le sue indicazioni, non vota più i suoi candidati. Lo dicono due risultati elettorali tanto netti quanto inattesi, sorprendenti. Due mesi fa, appena due mesi fa nessuno avrebbe scommesso un euro sulla totale sconfitta della destra alle elezioni amministrative e sul quorum raggiunto ai referendum. Napoli, Milano, Bologna, Torino, Cagliari, Trieste tutte e tutte insieme con nuovi sindaci della sinistra era risultato su cui nessuno azzardava nemmeno la più azzardata delle scommesse politiche. Quanto a 25/30 milioni di elettori che andavano a votare per i referendum, era un risultato nemmeno “quotato” dai bookmakers dei sondaggi e dagli “auspici” della analisi politica. E invece è successo, per due volte consecutive l’elettorato ha detto, ha pronunciato un “Basta”.

Due voti diversi, non la ripetizione dello stesso comportamento elettorale. Alle amministrative una parte consistente dell’elettorato di destra non ha risposto alla chiamata di Pdl e Lega ma non è certo passata a votare dall’altra parte. Non ha riconfermato la sua fiducia a Berlusconi e neanche a Bossi, fiducia che aveva concesso a piene mani ancora alle Regionali dello scorso anno. Per i referendum invece l’elettorato, anche di destra, è andato alle urne e si è sommato e fuso con l’elettorato di opposizione. Due voti diversi, le amministrative vinte dalla sinistra, i referendum vinti da qualcosa che è più e altro della sola sinistra, qualcosa che però certamente non è più la fiducia e la delega al governo della destra. Qualcosa che è, appunto, quel “Basta”.

Il governo, quel governo che voleva e aveva pianificato il nucleare in Italia, che aveva voluto e votato le leggi per consentire ai privati di partecipare alla gestione dell’acqua, che aveva fortemente voluto, difeso e votato la legge che esentava il premier dagli obblighi di giustizia, ha sentito che arriva un treno e ha provato a scansarsi. Ha fatto due passi di lato, ha proclamato “libertà di voto”. Non se l’è sentita di fare campagna per il No, campagna che sarebbe stata coerente con le leggi che aveva voluto, e neanche se l’è sentita di puntare apertamente sull’astensione. Il governo ha tentato di non essere preso in pieno dal convoglio che sentiva arrivare ma è riuscito solo a spostarsi due passi in là dai binari: lo spostamento d’aria del treno che è passato forte e veloce manda comunque il governo a gambe all’aria. E quell’onda d’urto, ancora una volta, ha il suono netto di un “Basta”.

Basta di cui vi è traccia evidente non solo in Pisapia sindaco di Milano, De Magistris di Napoli, Zedda di Cagliari. L’altra traccia è nel quorum raggiunto al referendum sul legittimo impedimento. Stesso quorum che per gli altri referendum: non è stata solo la paura, meditata o irrazionale, per il nucleare, non è stata solo l’avversione, motivata o montata, per la mano privata nei servizi idrici, il referendum sul legittimo impedimento era un Sì o un No a Berlusconi in persona e questo lo sapevano tutti.

Basta di cui vi è traccia chiaramente riconoscibile nel modo in cui si è formato: televisioni silenti o reticenti sui referendum e invece quorum raggiunto, a riprova della non onnipotenza delle televisioni. Più potente delle televisioni è stato ed è quel “Basta” che è ormai “sentimento” della pubblica opinione. Sentimento pieno, ma anche nulla di più. Basta con il fidarsi di Berlusconi, del suo governo, delle sue indicazioni, dei suoi candidati, delle sue leggi.

Un basta fatto e composto anche di ansia e paura: per la situazione economica e per quello che occorrerà fare a tutti i governi per uscirne. Si dice “riforma” del fisco ma in realtà quelli che vogliono la “riforma” sono pochi. Tutti vogliono meno tasse che non si può. Riforma si può ma vuol dire correggere un po’ se non proprio raddrizzare l’albero storto del fisco italiano. Riforma vuol dire dare nuova forma al fisco italiani: meno tasse da una parte, più tasse dall’altra. Su chi debba essere una parte o l’altra non è solo rissa politica, è ansia e paura nel paese.

Un basta fatto di stanchezza per un premier sempre sopra le righe e sotto le aspettative. Un basta che non è ancora per Berlusconi un ritiro del voto ma certo è un ritiro della fiducia. Berlusconi che certo non si dimetterà per quattro quorum raggiunti e superati e per la vittoria di quattro Sì che aboliscono altrettante leggi da lui volute e votate. Ma a questo punto l’augurio per il paese, quel che all’Italia conviene di più è che si voti per le elezioni politiche appena si può: nella primavera del 2012.

Prima che Berlusconi e Bossi e Maroni abbiano il tempo dell’operazione “muoia Sansone con tutti i Filistei”, prima che sia compiuto e perfezionato l’assalto alle casse dello Stato. Prima che vinca la tentazione di abbassare le tasse a qualunque costo, anche a costo di farlo in deficit. Se questo governo assediato avrà  due anni di tempo questo governo cercherà per sopravvivere la sortita impossibile. Se sarà: meno tasse a qualunque costo, allora sarà saggio e prudente per chi ha in portafoglio un titolo di Stato italiano a lunga scadenza venderlo senza panico ma con calcolo, calcolo che faranno non solo i piccoli risparmiatori ma anche i mercati finanziari internazionali.

Meglio votare subito, nel 2012, senza il prezzo e il rischio che da qui al 2013 sia una lunghissima e dispendiosissima campagma elettorale. Poi, chiunque dovesse vincere nel 2012, la destra o la sinistra, potrà mettere mano alle tasse e alla spesa senza la tentazione e la possibilità di “comprarsi” l’elettorato con soldi che non ha.