Renzi a Padoan: no a una nuova manovra. La mozione anti-tasse irrita il governo

di redazione Blitz
Pubblicato il 10 Febbraio 2017 - 23:39 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Irritazione da parte del governo, ed in particolare del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, per la mozione anti-tasse promossa da un gruppo nutrito di deputati renziani per il possibile aumento delle accise su benzina e sigarette.

Nessun attacco al governo né tanto meno la minaccia di incidenti parlamentari ma il chiarimento, se ce ne fosse bisogno, di uno dei pilastri del Pd renziano: le tasse non si alzano. E questo perchP, avrebbe chiarito Matteo Renzi nella telefonata con Padoan, la manovra correttiva non serve ma la rotta deve essere la stessa seguita nei mille giorni di governo: con l’Unione europea si tratta fino allo sfinimento.

E, solo al termine del confronto-scontro, le risorse che servono si recuperano dai soldi risparmiati dalla lotta record all’evasione fiscale confidando nel fatto che, alla luce dei dati di oggi positivi sulla produzione industriale, il prodotto interno lordo sarà più alto del previsto.

Intanto il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, conferma che intende restare sulla graticola a lungo: “Non ci sto a fare il bersaglio per mesi”, ha confermato Renzi in serata a Unità.tv.

La mozione, presentata da Edoardo Fanucci e sottoscritta da altri 36 deputati di stretta fede renziana, non era concordata, assicurano al Pd, né con il gruppo della Camera né con Matteo Renzi.

Ma il no a nuove tasse, espresso nel documento, è la posizione da sempre sostenuta nel Pd renziano e che il leader dem ha indicato, anche nel blog della ripartenza dopo la sconfitta al referendum, come uno dei capisaldi della sinistra che vuole. E che diventerà oggetto di scontro congressuale se la direzione del Pd di lunedì imboccherà la via del congresso anticipato.

No a nuove tasse e no ad “un’Europa marziana che manda letterine sullo 0,2″ è la via che il Pd ha sempre seguito con Renzi al governo e che vuole continuare a seguire con Gentiloni. Per questo la vicenda della mozione e le conseguenti fibrillazioni sono considerate “una tempesta in un bicchier d’acqua”.

Ma più che avvisare Padoan che avrebbe concordato con Renzi sulla necessità di fare ogni sforzo possibile per evitare nuove accise, i fulmini dei fedelissimi dell’ex premier si scaricano sui funzionari del ministero dell’Economia. “Al Mef non aspettavano altro che aumentare le tasse, durante i mille giorni sono stati compressi nella loro iniziativa, per tre anni hanno provato ad alzare l’iva e sono stati respinti al mittente”, ironizzano.

Ed invece la soluzione non sono né nuove accise né una manovra da 3,5 miliardi: prima si tratta per ottenere una correzione dell’0,1, invece dell’0,2, poi l’1,5 miliardi che restano, è il ragionamento del Pd, si possono facilmente ottenere senza manovra con il recupero dell’evasione e alla luce dei dati finali del pil che potrebbero riservare, sono convinti al Nazareno, sorprese positive.

Sui risultati economici del suo governo, Renzi insisterà anche nella direzione di lunedì in cui il Pd dovrà decidere la strada da imboccare nei prossimi mesi: o un ritorno in tempi brevi alle urne, dopo un accordo interno sulla legge elettorale e proprio per dare all’Italia un governo fresco di legittimazione popolare. O la battaglia congressuale subito dopo le dimissioni del segretario all’assemblea di fine mese.

Il leader dem prospetterà, a quanto si apprende, le due alternative nella relazione di apertura e alla luce del confronto con le varie correnti del partito si vedrà dove cascherà la palla. In ogni caso la direzione, eccezionalmente allargata a tutti i parlamentari e segretari provinciali, si concluderà con un voto che sarà definitivo.

Ma se l’area che fa capo a Michele Emiliano e Francesco Boccia concorda sul congresso immediato, come anche Gianni Cuperlo e Nicola Zingaretti, i bersaniani sono contrari. Secondo Pier Luigi Bersani e Roberto Speranza, la sfida congressuale non deve essere una veloce “farsa” per incoronare il leader ma un confronto “approfondito” che può essere fatto solo dopo le amministrative di maggio.

“Il grande asso dei bersaniani per la rimonta al congresso è sperare che prendiamo una batosta alle amministrative e poi al referendum sul Jobs Act, ma si sbagliano di grosso”, spiegano dalla maggioranza chiarendo che, se congresso deve essere, sarà immediato. Tenendo così aperta la finestra per il voto a settembre.