Renzo Bossi, un posto fisso ai vertici per diritto di sangue

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 6 Giugno 2011 - 15:41 OLTRE 6 MESI FA

ROMA-Diligenti i dispacci di agenzia annotano: “Al vertice di Arcore appena iniziato sono giunti Angelino Alfano, Roberto Maroni, Giulio Tremonti, Umberto Bossi, Niccolò Ghedini, Marco Reguzzoni, Roberto Cota, Giancarlo Giorgetti, Roberto Calderoli, Renzo Bossi…”. Più o meno lo stesso gruppo di partecipanti annunciato dai quotidiani poche ore prima della conferma delle agenzie di stampa. Dunque a discutere le sorti del governo, della legislatura, delle tasse, della allenza politica Lega-Pdl, della destra italiana ci sono, a casa del presidente del Consiglio il ministro della Giustizia nominato di fresco segretario del Pdl. Poi il ministro degli Interni che è anche uno dei massimi dirigenti della Lega. Quindi il ministro dell’economia che molti indicano come appunto uno dei personaggi principali della riunione e della vicenda tutta. Quindi il capo indiscusso della Lega, il suo fondatore e guida. C’è anche l’avvocato di Berlusconi, a voler essere pignoli non è chiaro cosa c’entri Ghedini, ma almeno è un parlamentare e poi ognuno consulta e invita chi vuole, diciamo che tanto titolo per star là Ghedini non ce l’ha ma Berlusconi glielo dà e così sia. Marco Reguzzoni è capogruppo parlamentare della Lega, qualche titolo per stare là ce l’ha. Roberto Calderoli è ministro. Roberto Cota è presidente delle Regione Piemonte e Giancarlo Giorgetti è segretario della Lega lombarda, a stiracchiare un po’ il “titolo a sta là”, qualche titolo ce l’hanno anche loro.

Titolo a far parte del gruppo che per competenze, diritti, doveri, responsabilità e potere ci si aspetta siano chiamati a sapere, decidere, pronunciarsi su questioni che ci riguardano tutti, cittadini ed elettori di destra, sinistra e centro. Titolo a star lì per esperienza, per autorità, per delega ricevuta dall’elettorato, perchè rappresentano e insieme governano. Ma Renzo Bossi a che titolo sta là? Non è la prima volta, anzi è quasi la regola: papà se lo porta spesso e volentieri ai vertici di alleanza e di governo, a Palazzo Chigi, a Palazzo Grazioli, ad Arcore. E la cosa è serenamente accettata, è diventata abitudine consolidata. Ma Renzo Bossi, anche a non volerlo definire “il trota”, non è parlamentare, non è ministro, non è leader di nulla. Non porta esperienza e neanche competenza, non ha responsabilità nè poteri. Sta lì, va lì a titolo di figlio. E allora? Allora c’è che questa usanza, quella di portare la prole, il figlio maschio destinato alla successione di sangue, alla riunione dei capi è appunto usanza di clan. Quando i capi delle diverse tribù alleate decidevano di incontrarsi, allora portavano i figli. Per mostrare alla tribù di appartenenza che la linea del sangue scorreva parallela alla linea del potere, per mostrare alle altre tribù chi sarebbe stato il prossimo interlocutore. E allora? Se sta bene alla Lega, se sta bene a Berlusconi e al Pdl?

Allora c’è che cosa mai farà Renzo Bossi durante i vertici? Sta zitto tutto il tempo? Annota, prende appunti? Chiede spiegazioni? Interviene? Domanda a Tremonti quanti soldi ci sono davvero? Sbuffa se Tremonti dice pochi? Dice la sua su quando conviene al paese e alla destra andare alle elezioni? Arriva dotato di dossier che sfoglia e fornisce all’occorrenza a papà? Gli fa da segretario o da consulente? Oppure a un certo punto lo mandano nell’altra stanza? Nessuno lo dice, nessuno se lo chiede, le agenzie annotano, i quotidiani registrano, ormai farebbe notizia il giorno in cui il figlio di Bossi fosse “escluso” dai vertici della coalizione e del governo. E allora perché non nominarlo “qualcosa” di “qualcosa” insignirlo? Così, tanto per dissipare l’impressione che stia e vada lì per diritto di sangue, come ai tempi dei mitici celti, prima che dalla ” Grande Girga” si passasse al più modesto Parlamento.