La Repubblica secessionista dei No-Tav. Ai confini filo spinato e check-point

di Riccardo Galli
Pubblicato il 22 Giugno 2011 - 15:41 OLTRE 6 MESI FA

foto Ap/Lapresse

CHIOMONTE – Una repubblica secessionista in Italia esiste già, in Piemonte. Bossi è stato superato a destra o a sinistra vai a sapere, sul tema della secessione. Il leader della Lega ne parla da anni, più che altro come spot elettorale e senza molto crederci, ma i No Tav sono riusciti laddove il senatur ha fallito. Sentinelle, barricate, posti di blocco e bastoni. Libera circolazione dei cittadini italiani, come i cronisti della Stampa che sono andati in loco, bloccata dal servizio d’ordine. Un’enclave a tutti gli effetti, con tanto di confini chiusi e vigilati, servizio d’informazione, di polizia e di difesa. Un luogo, in pieno territorio italiano, che a tutti gli effetti italiano non è. Se non legalmente, almeno nella pratica, la «Libera Repubblica della Maddalena», come è stato ribattezzato il compound dei No Tav, appare, se non uno Stato indipendente, di certo in “stato indipendente”. E secessionista.

Può uno Stato sovrano tollerare una situazione del genere? A rigor di logica e di legge no. Ma altre argomentazioni potrebbero suggerire di chiudere un occhio perché è sempre auspicabile risolvere i problemi senza l’uso della forza. La leader di Confindustria Emma Marcegaglia aveva detto che «Le barricate dei No Tav non sono degne di un paese civile». Civile o incivile che sia, chi si avventura per la strada che porta al quartier generale dei No Tav troverà sul suo cammino un primo «check point» lungo la strada provinciale (sbarre d’acciaio, cancelli, tronchi d’albero). Il passaggio è libero, ma il check point è vigilato 24 ore su 24 da ragazzi dotati di walkie-talkie. Le auto vengono segnalate. Proseguendo si arriva ad un secondo blocco, una barriera costituita da tubi Innocenti, lastre di lamiera, altri grossi tronchi, dove compaiono anche le prima attrezzature per la difesa attiva dei confini: tronchi a bordo strada, spranghe di ferro, manici di zappa, cumuli di pietre ovunque, anche di grosse dimensioni. E ancora, grosse bobine di filo spinato da utilizzare per fermare i reparti anti-sommossa in vista dell’operazione di sgombero del presidio per realizzare il primo cantiere della Torino-Lione.

Ma i confini da difendere non sono solo quelli lungo le strade provinciali e statali. Già dall’autostrada, in località Clarea, si comincia a vedere qualcosa. Nella corsia lato monte, all’uscita del tunnel, c’è un cancello e un raccordo con le strade interne. I No Tav hanno divelto i guard-rail e li hanno elettro-saldati con sbarre di ferro. Più sotto, cumuli di grosse pietre e altri ostacoli, sistemati sopra il livello dei pannelli anti-rumore. Dalla corsia direzione Torino, si vedono invece le sentinelle del movimento e un’altra serie di barricate, costituite da molti tronchi tagliati nelle ultime ore e da barriere di acciaio. Per entrare nel presidio bisogna tornare in Paese e scendere verso la Maddalena. Tutt’intorno a queste strutture, realizzate illegalmente, i lavori di fortificazione, come raccontano gli inviati della Stampa, fervono ancora.

E la neonata Repubblica vanta anche “relazioni estere”, stando alle parole del sindaco di Chiomonte, Renzo Pinard: «Ci sono fatti singolari: un giorno arrivano auto tutte targate Milano, a volte Trento. Come se fosse in atto una campagna d’arruolamento di soggetti provenienti da tutta Italia. Insomma, siamo di fronte a una chiara strategia». E aggiunge, il sindaco: «Ho chiesto alle forze dell’ordine un servizio di vigilanza notturna. Sono stanco di essere insultato e minacciato dai No Tav, ogni volta che esco dal Comune. E’ un clima davvero di grande inciviltà ma io vado avanti, giovedì c’è il Consiglio comunale dedicato alla Tav, e si svolgerà regolarmente, senza paure. Ma adesso stiamo arrivando al capitolo finale. Non si può andare oltre». E tutto lascia prevedere che non finirà bene.