Riforma del lavoro e art.18, rischio processi sempre più “lumaca”

Pubblicato il 24 Marzo 2012 - 11:10 OLTRE 6 MESI FA

Mario Monti (Lapresse)

ROMA – Se un processo per licenziamento dura da 179 giorni a 693 e in media 200 giorni a Torino, 266 giorni a Milano, 429 a Roma, il rischio è che con la riforma del lavoro firmata Monti-Fornero i tempi lumaca della giustizia si allunghino.

Il governo ha scelto il restyling dell’articolo 18 introducendo il licenziamento per motivi economici con indennizzo, ma senza reintegro e le possibilità che il lavoratore si opponga sono molteplici.

La paura che siano sempre più lenti è esposta sulla prima pagina de La Stampa dal giudice Carlo Federico Grosso che sottolinea le differenze di tempi tra i diversi tribunali e i rischi di un peggioramento:

Il problema è rilevante, e rischia di diventare drammatico se con la riforma dell’art. 18 il contenzioso dovesse aumentare, e non si provvedesse, nel contempo, ad attrezzare adeguatamente le sezioni dei giudici del lavoro. Bisogna dare atto che il governo non ha ignorato il problema.

Grosso scrive ancora:

E’ infatti agevole prevedere che il lavoratore licenziato per motivi economici cercherà comunque di sostenere che il suo allontanamento è avvenuto per motivi discriminatori; mentre il datore di lavoro potrebbe essere tentato di contrabbandare per motivo economico il motivo discriminatorio, o di cercare di privilegiare, a danno degli altri, i lavoratori che considera «meno pericolosi», mantenendo loro il posto o reimpiegandoli in posti diversi da quelli soppressi per ragioni economiche. Se ciò dovesse accadere (o se i lavoratori dovessero anche soltanto sospettarlo) la spinta al contenzioso sarebbe ovviamente fortissima. Il governo si è preoccupato di precisare, a questo punto, che particolare attenzione sarà prestata «all’obiettivo di evitare abusi».

Poi sottolinea:

Lo stesso governo ha, d’altronde, ammesso questo rischio quando ha indicato la ragione per cui ha ritenuto d’introdurre misure dirette a contenere i costi del datore di lavoro nelle cause: in questo modo, ha detto, si è inteso svincolare tali costi «dalla durata del procedimento e dalle inefficienze del sistema giudiziario», riconoscendo così, palesemente, il possibile fallimento di ogni politica diretta a contenere contenzioso e durata dei processi.

Se solo a Roma le cause di licenziamenti pendenti sono tra 2.500 e 3.000, lo stesso allarme arriva dal giudice Margherita Leone dalle colonne del Corriere della Sera

 Adesso, se la normativa sull’articolo 18 passerà nella sua attuale formulazione, dovrebbe aumentare ancora.È prevedibile che molti datori di lavoro utilizzeranno le nuove norme per licenziare di più per motivi economici, veri o presunti che siano: avranno mano più libera a riguardo, perché non c’è più il rischio di riprendersi il lavoratore se perdono la causa da lui intentata, ma basterà pagare un’indennità.

Leone spiega che:

Oggi una causa di licenziamento viaggia su corsie abbastanza preferenziali: ci vuole in media un anno per chiudere il processo di primo grado, e se si va in appello — cosa che succede più o meno in un caso su due — in genere passa un altro anno e mezzo. Insomma, adesso si riesce molto spesso a contenere il tutto entro tre anni. Da domani, però, se passa la nuova normativa i tempi potrebbero allungarsi. Visto che le corsie preferenziali sui licenziamenti resteranno, probabilmente i tempi di queste cause non cresceranno di molto, e a risentirne (e ad allungarsi) saranno anche gli altri processi, come quelli su previdenza, salute, trasferimenti, demansionamenti e pubblico impiego. Questi ultimi, poi, sono particolarmente consistenti qui a Roma, dove ci sono molte cause sui dirigenti e sui precari nella scuola: questioni insomma molto delicate.