Il patto di maggioranza per le Riforme: Berlusconi al Colle, Tremonti a Palazzo Chigi

Pubblicato il 7 Aprile 2010 - 10:04 OLTRE 6 MESI FA

“Non vogliamo morire leghisti”. L’allarme lo lancia, come ormai è diventato usuale, la fondazione Farefuturo, vicina al presidente della Camera Gianfranco Fini: la grande affermazione di Bossi alle ultime elezioni ha spostato l’equilibrio della maggioranza di governo al punto tale da consegnargli la regia delle tanto auspicate riforme. Lui vuole il federalismo fiscale e lo otterrà anche al prezzo di mandare giù una qualche forma di presidenzialismo caro al presidente del Consiglio.

Il punto d’intesa tra Bossi e Berlusconi si chiama semipresidenzialismo alla francese: una diarchia, che vedrebbe il Cavaliere investito dei poteri presidenziali conferiti da un suffragio popolare e un esecutivo centrale che coordini le regioni affidato – questo il progetto – a Giulio Tremonti, l’unica personalità del Pdl di cui Bossi si fidi. Un patto di ferro, quindi, per il quale il Senatur non esiterebbe a cambiare – come spesso gli è accaduto per ragioni strategiche –  il suo giudizio su ogni forma di presidenzialismo. “Segnerebbe la fine di ogni libertà costituzionale”, ragionava Bossi solo qualche anno fa.

L’obiettivo del semipresidenzialismo era stato già chiaramente indicato dal ministro Maroni che solo un paio di giorni fa riconosceva nel modello francese l’equilibrio che garantisce il “giusto” potere al presidente, dove “giusto” sta, evidentemente, per circoscritto, limitato.

La strategia di Bossi è chiara: offrire a Berlusconi la tanto agognata “buonuscita” da presidente della Repubblica e garantirsi al contempo un presidente che non si sogni di mettere i bastoni tra le ruote alla locomotiva federalista.

Un disegno fin troppo ben calibrato se, per l’appunto, è proprio dalla maggioranza che arrivano i primi distinguo, se non deliberati “niet”. Nella battuta “non moriremo leghisti” c’è tutta la frustrazione nel vedere che il Pdl, ad appena un anno dalla sua inaugurazione, debba rivedere gli ambiziosi progetti di rifare nientemeno che la storia d’Italia.  Ambizioni ridotte a un piccolo cabotaggio istituzionale a rimorchio del partito socio di minoranza della coalizione di governo. Che non è nemmeno presente in metà della penisola.