San Gennaro “esce” al ballottaggio. Imbarazzato per la “munnezza elettorale” a Napoli?

Pubblicato il 2 Maggio 2011 - 15:37 OLTRE 6 MESI FA

NAPOLI – San Gennaro ha detto no. Il miracolo del primo sabato di maggio è rinviato, il sangue del santo non si è liquefatto. Dopo due ore di preghiera alle 18.54 il cardinale Sepe ha dato l’annuncio: “Riportiamo l’ampolla nella cappella e continueremo a pregare. Non scoraggiatevi, altre volte il sangue non si è sciolto, ma San Gennaro non ha mai fatto mancare il suo sostegno alla città”. Il patrono di Napoli non ha mai fatto mancare il suo sostegno, ma i fedeli, visibilmente addolorati, mostrano di credere poco all’interpretazione buonista e traggono presagi infausti. Non sarà che persino San Gennaro è schifato dalla Napoli 2011, sommersa dai rifiuti e che si appresta ad una tornata elettorale con molti nomi “imbarazzanti”? Da buon patrono però, al terzo tentativo e con un giorno di ritardo, San Gennaro si è presentato ai suoi concittadini attraverso la liquefazione del suo sangue avvenuta domenica primo maggio. San Gennaro è uscito dunque al ballottaggio, non se l’è sentita di presentarsi prima nella terra di imbarazzanti elezioni per ilo sindaco. Fede o superstizione, cattivi presagi o semplice intoppo chimico la realtà dei fatti resta, Napoli è una città da evitare, la evitano i turisti e persino i santi. Troppa “munnezza” per le strade e persino nelle liste elettorali.

Della “munnezza” vera e propria, oltre le strade, ne sono pieni i giornali che ogni giorno raccontano una realtà letteralmente incredibile per una metropoli europea. Poco o niente da aggiungere quindi su una situazione nota e arcinota tanto che perfino San Gennaro ci avrà fatto l’abitudine. Ma vale la pena invece parlare della “munnezza elettorale”, non una novità nemmeno questa, ma che quest’anno si rinnova e si arricchisce di nuove storie di malapolitica.

Giusto quattro giorni prima del santo rifiuto, grazie ad un decreto firmato da Berlusconi, due personaggi tecnicamente impresentabili, erano stati riammessi in Regione, e non è escluso che sia stato questo il motivo dell’imbarazzo e del ritardo del patrono di Napoli. E così, gli impresentabili eletti nelle istituzioni, malgrado le condanne per peculato o per associazione mafiosa, son tornati. Il premier con i decreti 824 e 825 ha preso atto dei ricorsi vinti dai due consiglieri Alberico Gambino e Roberto Conte, che erano stati eletti ma immediatamente sollevati dal consiglio. E, modificando il proprio precedente decreto – senza attendere l’ esito di ulteriori reclami in corso, né valutare le incompatibilità pre-esistenti – ha disposto il reintegro in aula di Gambino e Conte. Politici dai profili molto controversi, e oggi due macchine porta-voti del Pdl. Gambino, appena tornato anche sindaco di Pagani, vicinissimo al senatore e presidente di quella Provincia Edmondo Cirielli, è stato condannato in primo e secondo grado per peculato. Caduta, invece, la concussione. Roberto Conte, trasmigrato dal centrosinistra al centrodestra ed eletto l’anno scorso in una lista («Alleanza di popolo») a sostegno del governatore Pdl Stefano Caldoro, è stato invece condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa. Dietro la sentenza, una storia di voto di scambio tra Conte e il clan camorristico Misso.

Lo stesso Conte risulta inoltre coinvolto in un’ altra inchiesta e rinviato a giudizio in un terzo processo sui “Fitti d’oro”, truffa consumata ai danni di uffici istituzionali. Proprio in questo procedimento, capolavoro dei paradossi, si è costituita come parte civile la stessa Regione Campania in cui Conte si appresta a sedere, trionfante. D’ altro canto, in queste ore, tra le 11 liste a sostegno di Lettieri, ve n’è una che porta il timbro di Conte e, con le elezioni dietro l’angolo, non si può certo fare troppo gli schizzinosi. A onor del vero il termine di sospensione dall’ aula, fissato in diciotto mesi, era già scaduto per entrambi gli eletti, ma non vi era urgenza nell’esecuzione, sostengono i legali dei consiglieri regionali che ora dovranno uscire per effetto del reintegro. L’orientamento giurisprudenziale suggerisce di attendere la fine dei reclami oggi sospesi, proposti sia dall’ avvocatura regionale, sia da coloro che erano subentrati, Carmine Sommese al posto di Conte e Monica Paolino per Gambino. «Il mio ricorso è in discussione in Tribunale il 6 maggio: si trattava di attendere una settimana», spiega Sommese. E la Paolino, moglie a sua volta del sindaco di Scafati, Pasquale Aliberti, ha inviato addirittura una lettera di diffida alla presidenza della Regione: Gambino è già sindaco a Pagani e deve risolvere la incompatibilità con la carica di consigliere regionale, il senso della protesta. E non c’era urgenza se persino Nicola Turco, presidente nazionale di “Alleanza di popolo”, la lista che un anno fa decretò per Roberto Conte un trionfo di 10mila preferenze alla Regione, e produsse un certo imbarazzo a Stefano Caldoro, oggi se la dà a gambe: «Stiamo annullando tutto di quella votazione. Sono stato all’ autorità giudiziaria a raccontare che Conte e i suoi amici falsificarono le firme della lista. Ho scoperto che mentre io registrai il partito a febbraio 2010, loro avevano apposto le firme già il 4 gennaio 2010. Non voglio avere più nulla a che fare con questi».

Oltre a questi due simpatici reintegrati si presenta poi alle prossime amministrative campane una certa Nunzia Stolder, trentenne candidata alla Municipalità di San Lorenzo Vicaria in sella al centrodestra, nello schieramento che sostiene la candidatura a sindaco di Gianni Lettieri. Ai non napoletani questo nome dirà poco, ma chi a Napoli vive non mancherà di notare l’assonanza nominativa con Raffaele Stolder, boss di Forcella. E’ la figlia. La cosa clamorosa non è tanto che la figlia di un boss della camorra, ora in carcere, si candidi alle elezioni. Le colpe dei padri non ricadono sui figli e la giovane Nunzia ripete continuamente di essersi dissociata da quella che era la vita paterna, e ci mancherebbe. Ma la Stolder, stanca di essere additata come “Lady Mafia”, in un’intervista si mostra lei per prima in imbarazzo per i nomi che il suo partito presenta a queste elezioni. “Porto un cognome che è una condanna, ma vado avanti. Io non ho mai conosciuto l’aula di un tribunale, non ho mai avuto neppure una multa. Ci sono candidati, invece, alle Municipalità come al Comune, che sono coinvolti in indagini per reati pesanti, per vicende gravi”. Si riferisce ad Achille De Simone, il capolista dell’Adc di Pionati? Domanda l’intervistatore. “Si guardi bene nelle liste, dico; perché non è l’unico caso”.

Se questo è il quadro del centrodestra non più bella figura fa il centrosinistra. E se il buongiorno si vede dal mattino come non ripensare alle primarie napoletane organizzate dal Pd e conclusesi con reciproche accuse di brogli e ora, con Lettieri candidato del Pdl, che raccoglie simpatie anche nel centrosinistra, merito non solo di qualche uomo di Bassolino entrato a far parte dello staff del candidato pidiellino ma anche della trasmigrazione di “miglioristi” verso la destra. E poi l’ostilità, molto più e peggio che la rivalità tra il candidato del Pd Mario Morcone e Luigi De Magistris candidato dell’Idv.

La società civile, quella che si dovrebbe indignare e far da argine per tener fuori dalla cosa pubblica tutti i disonesti, e soprattutto tutti quelli che hanno anche solo fortuitamente incrociato nella loro vita la criminalità organizzata, latita. Le liste non sono piene di camorristi, ma sono piene di nomi di persone che potrebbero essere sospettate. In politica ci vorrebbe, e si dovrebbe esigere, un’onestà persino maggiore di quella richiesta dalla legge. Bisognerebbe essere al di sopra di ogni sospetto ed incorruttibili. Certo che arrivare a tanto è molto difficile, dovrebbe essere più una tensione ed un’aspirazione e d’accordo che le eccezioni ci sono sempre. Ma in Campania si esagera. Se n’è accorta pesino la Curia. Il Cardinale Sepe, ampolla in mano con sangue ancora solido, ha rinnovato le accuse sul degrado e verso tutti quelli che praticano l’illegalità o si lasciano attrarre dai guadagni facili delle attività criminose. “Non mancano, occorre dirlo, comportamenti, pubblici e privati, collettivi e individuali, a sostegno di una tesi così estrema (si riferiva al paragrafo precedente nel quale aveva denunciato “la pericolosa deriva di una città zona franca di fronte alla legge”): lo scandaloso perdurare dell’emergenza rifiuti è la più eloquente delle testimonianze. Ma non è compito della Chiesa trasformarsi in tribunale ed emettere una qualsiasi sentenza”. E, forse, se n’è accorto anche San Gennaro. Che non se l’è sentita di benedire al primo colpo quella processione di novemila candidati in lista, uno sterminato gregge pieno di pecore nere e grige.