Severino-Grasso-Amato-Marini-Violante: gli “inquirinabili” secondo il Fatto

di Antonio Sansonetti
Pubblicato il 12 Aprile 2013 - 12:34| Aggiornato il 10 Gennaio 2023 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Paola Severino, Pietro Grasso, Giuliano Amato, Franco Marini, Luciano Violante: sono i cinque “inquirinabili” secondo il Fatto Quotidiano, cinque nomi che per il giornale di Padellaro e Travaglio non sono degni di essere candidati alla presidenza della Repubblica. Il loro più grande peccato, visto dalla prospettiva del ‘Fatto, è quello di mettere d’accordo Pd e Pdl. All’articolo, titolato “Vengo anch’io, no tu no”, c’è una premessa, una dichiarazione d’intenti:

“I nomi che circolano sono sempre gli stessi. C’è la truppa dei “politici” (Massimo D’Alema, Giuliano Amato, Luciano Violante, Franco Marini, Anna Finocchiaro ma anche, sponda Pdl, Marcello Pera, Renato Schifani e Gianni Letta), c’è quella dei tecnici prestati alla politica (Mario Monti, Paola Severino, Anna Maria Cancellieri, Pietro Grasso, Giuseppe De Rita). Sono accomunati dal comune denominatore che potrebbero star bene ai due partiti che hanno governato in Italia gli ultimi vent’anni: il Pd e il Pdl. Senza dare giudizi sulle persone, sono i loro atti, le cose che hanno fatto nella loro esperienza politica, istituzionale e anche (per alcuni) solo professionale, a tracciare il solco che oggi ci fa dire: questi preferiremmo di no”.

Queste, in sintesi le motivazioni che secondo il Fatto rendono “inquirinabili” i cinque:

Paola Severino. È fra i primi quattro-cinque penalisti italiani. Insomma è “l’avvocato dei poteri forti”. Per il Fatto una che ha difeso Cesare Geronzi, Francesco Gaetano Caltagirone, Lorenzo Cesa, Romano Prodi e Francesco Rutelli, non potrà diventare presidente del Csm (uno dei poteri del Capo dello Stato). “Bisogna evitare il rischio che, lungo la strada aperta da Giorgio Napolitano, il prossimo presidente sia tentato di occuparsi direttamente di processi controversi dei quali magari solo pochi anni prima si sia occupato come parte, come difensore di qualche imputato”.

Pietro Grasso. Nel 2000 decise di non firmare la richiesta di appello di Gian Carlo Caselli sul processo Andreotti, avrebbe soffiato allo stesso Caselli la poltrona della Direzione Investigativa Antimafia, approfittando di una norma del governo Berlusconi che per il Fatto sarebbe stata “contra personam”. Altro “reato grave” per il giornale di Padellaro e Travaglio è l’aver dato nel 2012 “un premio speciale a Silvio Berlusconi e al suo governo per la lotta alla mafia”.

Giuliano Amato. Cumula le seguenti “colpe”, secondo il Fatto: prende una pensione da 31 mila euro mensili; è un’emblema della Casta; è un eterno candidato al Quirinale; è un tecnico in politica dal 1979, deve tutto a Craxi però poi fu premier del centrosinistra dopo Prodi e D’Alema; due anni fa una parte del Pdl di Berlusconi lo voleva al posto di Monti.

Franco Marini. “Non ha l’età”: ha compiuto 80 lo scorso 9 aprile, secondo il Fatto è troppo anziano per i sette anni tempestosi che aspettano il prossimo presidente della Repubblica. Poi, quando cadde il governo Prodi lui era presidente del Senato. Gramazio e Strano di An in aula stapparono una bottiglia di spumante e ingollarono platealmente mortadella: Marini è colpevole di non averli fermati. Disse solo “colleghi, non siamo in un’osteria”.

Luciano Violante. Nel 2003, in un memorabile discorso alla Camera, dichiarò che il centrosinistra aveva fatto un patto nel 1994 con Berlusconi: non gli sarebbero state toccate le tv, non sarebbe stata fatta una legge sul conflitto di interessi né sull’ineleggibilità del Cavaliere. Da allora Violante è diventato una figura bipartisan. Che non piace al Fatto.

Alla lista dei cinque inquirinabili possiamo aggiungere Emma Bonino, che Travaglio ha stroncato nell’editoriale “Si fa presto a dire Bonino” del 7 aprile.