Monti fa esplodere il bubbone Sicilia: uno scandalo a statuto speciale

Pubblicato il 18 Luglio 2012 - 09:58 OLTRE 6 MESI FA
Raffaele Lombardo

ROMA – Che Lombardo prenda atto e se ne vada oppure non molli la presa sulla Regione autosospendendosi (un modo per aggirare commissariamenti) il bubbone siciliano è finalmente scoppiato. E con la Sicilia il nodo della anti-storica e costosissima concessione delle autonomie, che riguarda i privilegi concessi alle regioni a statuto speciale. Statuto in nome del quale si sono sottratte ai sacrifici che hanno accomunato il resto delle regioni italiane, un’autonomia, come ha denunciato il vicepresidente della Confindustria siciliana Lo Bello, “utilizzata da scriteriate classi dirigenti per garantire a se stesse l’impunità”.

Il caso siciliano è emblematico, sintetizza tutti i vizi e le storture di un impianto amministrativo costruito all’indomani della seconda guerra mondiale, un apparato difficilissimo da smontare e ripensare visto che andrebbe rivista la Costituzione. E pensare che l’autonomia fu concessa per neutralizzare le spinte indipendentiste. La sortita di Monti, che non può permettersi porti franchi dove tagli e sacrifici non arrivano, non si sa quali ricadute istituzionali avrà, l’obiettivo è mettere il bilancio siciliano sul tavolo di un’accurata e severa spending review, come il resto del Paese.

Per questo diciamo che con l’intervento di Monti il bubbone è scoppiato. Il caso Sicilia non ha confronti: dopo aver annunciato le proprie dimissioni il governatore Lombardo non si è fatto scrupoli di nominare tre nuovi assessori e un vicepresidente. Non si è preoccupato di sfidare il ridicolo nominando un dirigente di una società pubblica in effetti già impegnato: era detenuto in carcere per stalking. Prima dell’intervento di Monti non si erano forse già ascoltate le denunce della Corte dei Conti su una presidenza della Regione Sicilia che con 1385 persone impiegate finanzia una struttura che surclassa anche quella a disposizione del premier britannico Cameron a Downing Street. Il costo finale di tutto il baraccone amministrativo regionale ammonta a 5,3 miliardi di euro e nel solo 2011 è cresciuto di 818 milioni, raddoppiandosi negli ultimi dieci. Fino all’anno scorso i dipendenti regionali potevano andare in pensione con 25 anni di servizio per assistere un genitore anziano o invalido.

La lista degli sprechi è infinita. Vogliamo parlare, proprio perché il diavolo si nasconde nei dettagli, dei 700 telefonini distribuiti con credito illimitato ai 90 deputati regionali siciliani nel 2001? Nessuno di loro però li ha restituiti  a fine mandato, parenti e amici hanno continuato a utilizzarli, la magistratura ha dovuto indagare anche su una convenzione di privilegio tra Tim e Assemblea regionale. Il Sole 24 Ore del 6 gennaio scorso illuminava a giorno la disinvolta gestione della cosa pubblica siciliana. Non a partire da uno degli innumerevoli casi di sprechi, privilegi, incestuosi rapporti clientelari, ma illustrando un modus operandi da giocatori delle tre carte. Scriveva Giuseppe Oddo: “Prendiamo la Sanità, la principale voce del bilancio. A partire dal 2007 la Regione Siciliana ha avuto imposta una graduale maggiorazione dell’aliquota di compartecipazione alla spesa sanitaria, dal 42,50% fino al 49,11 per cento. Secondo i tecnici di Palazzo dei Normanni, questa misura sarebbe dovuta valere per tre anni, trascorsi i quali l’aliquota sarebbe dovuta tornare al livello di partenza. In caso contrario la Regione sarebbe stata compensata con la retrocessione di una quota delle accise sui prodotti petroliferi consumati nell’isola. Per far valere questa interpretazione la Sicilia è ricorsa alla Corte costituzionale. Ma i giudici della Consulta sono stati implacabili: non se ne parla nemmeno. Nonostante ciò nel bilancio di previsione lo stanziamento è calcolato con la vecchia aliquota del 42,50 per cento. Se, come è certo, resterà in vigore la nuova, la Regione dovrà iscrivere a bilancio altri 635 milioni. O glieli dà lo Stato o nei conti si apre un buco”.