Lividi da sondaggio per Pd e Pdl. I mille umori contro Monti

Pubblicato il 19 Dicembre 2011 - 20:58 OLTRE 6 MESI FA

Mario Monti (Foto LaPresse)

ROMA – Lividi da sondaggio per Pd e Pdl: i grandi partiti perdono punti e credibilità a favore di movimenti come quelli di Nichi Vendola e Beppe Grillo. La vera e grande emorragia è soprattutto del Pd che perde, secondo il sondaggio Emg per La7, ben 1,2 punti percentuali in favore della sinistra “estrema” e di Grillo, che è quello che ci guadagna più di tutti. Vince quindi, ed è ormai chiaro, l’opposizione dura contro Mario Monti e la sua manovra che, contestualmente, ha perso nei sondaggi ben il 15% delle preferenze (dal 73 al 56%): un vuoto che si è venuto a creare soprattutto nel grande bacino dei lavoratori dipendenti, proprio la fetta più ampia dell’elettorato Democratico.

E che l’opposizione a Monti faccia più presa nella società civile è stato chiaro anche dalla giornata odierna, dominata dallo sciopero generale del pubblico impiego e dalla battaglia, sempre più dura, tra sindacati e governo. La nuova battaglia è quella sull’articolo 18 (quello che vieta i licenziamenti in mancanza di giusta causa nelle aziende con più di 15 dipendenti) che la Fornero vorrebbe rivedere e su cui i sindacati non vogliono indietreggiare. In tutto questo il Pd tenta di recuperare voti con il segretario Pier Luigi Bersani che prova la linea dura proprio sull’art. 18, tentando di spalleggiare i sindacati da una parte ma consapevole delle divisioni interne che l’argomento creerà nel suo partito. Dall’altra parte Silvio Berlusconi prosegue la linea del “salvatore della Patria” e smentisce le indiscrezioni di stampa che lo volevano fautore di un “golpe” ai danni di Monti: “Non ho mai detto di staccare la spina al governo Monti”, ha detto.

Il sondaggio. Questi i risultati del sondaggio di Emg per La7. Secondo i dati di questa settimana il Pdl continua a scendere perdendo 0,5 punti percentuali e arrivando a 24,2% di consensi, ma il tonfo più grande lo avverte il Pd che perde addirittura 1,2 punti percentuali passando dal 29,4% della scorsa settimana al 28,2%. Tutti voti che vanno a Sel di Nichi Vendola (guadagna 0,3 punti percentuali andando al 6,4%), alla Federazione della sinistra (2,1% guadagnando 0,5 punti percentuali), Verdi (+0,3%), Radicali (+0,3%) ma soprattutto al Movimento 5 stelle di Grillo che guadagna 0,7 punti percentuali balzando al 4,1%. A fronte di questi dati chiari, che premiano l’opposizione dura al governo Monti e alla sua manovra, cala anche la percentuale di chi si dichiara indeciso sul voto: sono il 16,8% del sondaggio odierno. Calano anche le astensioni scendendo al di sotto della soglia “critica” del 30%. Significa quindi che gli italiani hanno le idee molto più chiare e che sanno cosa vogliono: qualcuno che si opponga a una manovra lacrime e sangue.

Per il resto dei partiti a destra gli unici che guadagnano sono la Destra, che sale di 0,4 punti percentuali all’1,7% e Forza Sud che arriva a un o 0,8%. La Lega nord, pur portando avanti l’opposizione più barricadera contro Monti, sconta ancora il peso di essere stata per anni una forza governativa e continua a perdere voti: cede lo 0,2% attestandosi al 9% di preferenze.

Nell’area di centro l’unica forza che guadagna è l’Api di Rutelli che arriva allo 0,6%. Per il resto l’Udc cede lo 0,1% arrivando al 7,2, Fli cede lo 0,2 attestandosi al 4% di preferenze e l’Mpa rimane stabile allo 0,6%. Nel centrosinistra invece, oltre al crollo del Pd, perde solo l’Idv di Antonio Di Pietro che cede lo 0,2% e si attesta sul 5,8% di preferenze.

La giornata politica ha rispecchiato quello che dicono i sondaggi: una società civile sempre più sull’orlo di una crisi di nervi, in rotta di collisione con il governo Monti, e i grandi partiti che tentano di recuperare l’affetto e la fiducia degli elettori.

Da parte sua Berlusconi ha chiarito di non voler staccare la spina al governo. In una pausa del processo Mills, ai giornalisti che gli hanno chiesto quanto durerà il governo Monti, Berlusconi ha risposto: “Nessuno può dirlo. Non ho mai parlato di staccare la spina, non credo ci sia nessuno che responsabilmente può fare una previsione sulla durata di questo governo”.

Dall’altra parte Bersani tenta invece di ricostruire il rapporto tra il partito e la sua base. Anche per questo si è irrigidito sull’articolo 18, tema che oggi ha visto l’ennesimo duro scontro tra sindacati e governo. Bersani sa che l’ala laburista del partito, vicina ai sindacati, non voterà mai una riforma del lavoro che renda i licenziamenti più facili, neanche turandosi il naso come avvenuto per la riforma della previdenza. Per questo il leader Pd, in pubblico ma anche nei contatti con il ministro Elsa Fornero, ha già fatto sapere che l’art.18 ”non è il tema” non perché sia un tabù ma perché la vera priorità sono gli ammortizzatori sociali.

 

E’ scontro duro tra il ministro del Lavoro Elsa Fornero e i sindacati. Proprio l’articolo 18 e la riforma del lavoro annunciata dalla Fornero ha fatto riaccendere un altro focolaio tra governo e sindacati, nel giorno dello sciopero del pubblico impiego.

Scontro tra governo e sindacati, ma anche tra sindacati e imprese, prima ancora che si apra il tavolo sulla riforma del mercato del lavoro. ”Nessun tabu”’, dice il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. ”E’ una norma di civiltà”, insiste all’opposto il leader della Cgil, Susanna Camusso. Commenta il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ”rammaricata” ma anche ”dispiaciuta e sorpresa” per un linguaggio di ”un passato del quale non possiamo certo andare orgogliosi”: ”la reazione” dei sindacati, afferma, ”non la capisco, e mi preoccupa anche molto non sul piano personale, ma per le sue implicazioni per il Paese”. Alle sue parole replica il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni: ”Mi dispiace che reagisca in questo modo: ad essere preoccupati siamo noi”.

Già in mattinata, Bonanni aveva sostenuto la contrarietà a mettere mano all’articolo 18: dopo la manovra, ”discussa con nessuno”, che ha già colpito lavoratori e pensionati, è la sua posizione, ”si aizza la protesta su una materia che si sa problematica”, ”spinosa”. I sindacati chiedono piuttosto di far pagare di più il lavoro precario. E’ questa la vera sfida, afferma Bonanni, rivolgendosi alla ”maestrina” Fornero. In serata, dopo le parole del ministro, rincara: ”Mi hanno sconcertato”. Si tratta di una riforma del mercato del lavoro annunciata ”mediaticamente”: così ”si apre una rottura prima di arrivare alla discussione”. E’ una ”situazione incresciosa”, che avrebbe richiesto ”più cautela” e a Fornero dice ancora: ”Doveva essere molto più accorta”.

Al contrario, d’accordo con Fornero si dice Marcegaglia: ”Non ci sono più totem, non ci sono piu’ tabu” sull’articolo 18; la riforma del mercato del lavoro ”va affrontata” con ”molta serietà, pragmatismo e senza ideologia”, anche per riportare il Paese a crescere, afferma. Alle sue affermazioni si contrappone la posizione di Camusso, a strenua difesa dell’articolo 18: e’ ”una norma di civilta’ che impedisce le discriminazioni ed esercita una forma di deterrenza per tutti. Un paese democratico e civile non puo’ rinunciarvi”. Posizioni antitetiche, dunque. Ma, subito il numero uno degli industriali tiene a sottolineare: ”Non c’è alcun attacco ai sindacati”.

”Il clima di scontro non aiuta”. C’è solo la necessità, sostiene, di modificare un mercato del lavoro che ”oggi palesemente non funziona”, in cui ”abbiamo una forte rigidità in uscita che non ha eguali in Europa ed un eccesso di flessibilita’ in entrata che penalizza i giovani e le donne; e abbiamo degli ammortizzatori sociali che vanno rivisti in parte”. Uno stato di fatto in cui, dice ancora, ”un’azienda fa fatica ad assumere o assume di meno”. Il punto è comunque, per il presidente di Confindustria, andare alla trattativa senza ”chiusure preconcette”.

Al tavolo – che potrebbe aprirsi ”anche prima” di gennaio, come fa sapere la stessa Fornero – ”ci siederemo con grande spirito di collaborazione, con grande atteggiamento costruttivo. Ci auguriamo, speriamo e chiediamo che anche il sindacato faccia la stessa cosa”, aggiunge Marcegaglia. Un tavolo in vista del quale Fornero invita al dialogo ma ”senza preclusioni”: ”Per quanto mi riguarda io non ho preclusioni, bisogna però che non ne abbiamo altri”.