Statuto lavoratori: Schifani “E’ tempo di pensare alla tutela dei lavori”

Pubblicato il 20 Maggio 2010 - 13:18 OLTRE 6 MESI FA

Renato Schifani

L’approvazione dello Statuto dei lavoratori costituisce «una delle più alte realizzazioni del riformismo politico del secolo scorso e pur conservando intatto il suo valore oggi, dopo 40 anni, è tempo di occuparsi dei nuovi lavori, all’epoca neppure immaginabili, per estendere tutele e garanzie e realizzare così quel passaggio dallo Statuto dei lavoratori a quello dei lavori».

Così il presidente del Senato Renato Schifani è intervenuto in aula, in apertura del dibattito dedicato all’anniversario dello Statuto dei lavoratori. Schifani ha ripercorso il tormentato percorso politico sfociato, nel giugno del 1969, nell’approvazione dello Statuto fortemente voluto dal ministro socialista del Lavoro, Giacomo Brodolini, e dal governo di Mariano Rumor. «Dal mondo del lavoro e dalle rappresentanze sindacali – ha ricordato Schifani – emergeva con forza l’esigenza di adeguare i rapporti produttivi ai valori costituzionali, considerando il lavoro non alla stregua di una merce da scambiare, ma quale strumento privilegiato per lo sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paesé, secondo la disposizione dell’articolo 3 della nostra Costituzione».

Quella riforma costituì anche la chiara dimostrazione, ha ricordato il presidente del Senato citando Francesco De Martino, che «se c’è una volontà politica, se vi sono degli uomini impegnatì che credono in ciò che vogliono realizzare, non è affatto vero che il regime parlamentare sia lento e inefficiente ».

L’approvazione dello Statuto dei lavoratori, e la sua successiva attuazione «costituiscono – ha sottolineato Schifani – una delle più alte realizzazioni del riformismo politico del secolo scorso. Sulla necessità di conservare e rendere più efficaci le conquiste dello Statuto, di fronte ad un assetto delle relazioni industriali e ad una composizione dello scenario produttivo e del mercato del lavoro in continua evoluzione, si sono misurati, nel corso dei decenni, alcuni fra i più acuti spiriti riformatori del nostro tempo».

Schifani li ha ricordati, a cominciare da Gino Giugni «colpevole agli occhi dei terroristi del contributo determinante reso al protocollo d’intesa del 1983 sulla scala mobile, nonché della sua costante opera di riflessione e proposta giuridica in materia di evoluzione del mercato del lavoro e di aggiornamento delle sue tutele».

Ma soprattutto Schifani ha voluto ricordare l’assassinio di Massimo D’Antona, studioso dell’istituto della reintegrazione nel posto di lavoro e pioniere della modernizzazione del pubblico impiego, e di Marco Biagi «portatore del sogno interrotto di una ‘società attiva’, nella quale le esigenze produttive potessero finalmente convivere con la qualità della vita personale e familiare del lavoratore».

Schifani ha  così accomunato «i tanti altri sindacalisti, lavoratori, studiosi colpiti da questa violenza criminale, che l’unità delle forze politiche e sociali del Paese ha saputo sconfiggere».

Oggi il tempo perché le forze politiche e sociali si interroghino sui passi necessari per giungere, sulla scorta del pensiero di Marco Biagi «da uno Statuto dei lavoratori ad un Statuto dei “lavori”, al fine di estendere la garanzia a tutte quelle forme di prestazione lavorativa sconosciute al Legislatore del 1970, ma divenute ormai preponderanti nell’attuale contesto produttivo, affinché sia assicurata una tutela piena del lavoro ‘in tutte le sue forme e realizzazioni’, come impone la Costituzione». «Lo dobbiamo – come sottolinea il costante monito del Capo dello Stato – a tutti quei cittadini in preda alle diverse forme di precarietà del lavoro che, sotto i colpi della crisi economica, troppo spesso vivono in drammatiche precarietà esistenziali. Essi – ha concluso Schifani – si aspettano dalle istituzioni di una Repubblica fondata sul lavoro una risposta decisa e forte almeno quanto quella data, quarant’anni fa, dai nostri predecessori».