La tela di Penelope del decreto: braccio di ferro tra i palazzi

Pubblicato il 11 Agosto 2011 - 19:10| Aggiornato il 12 Agosto 2011 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Giulio Tremonti tesse tasse e tagli, Umberto Bossi prova a disfare. Mario Draghi, a lettere e voce chiede di tessere veloce, e parte del Pdl tentenna e perde pezzi. E’ la tela del decreto, quello che, a tempo di record (era il 18 ma alla fine è stato anticipato al 12 agosto alle 19), dovrebbe tirare fuori subito 35 miliardi. Anche e soprattutto dalle tasche degli italiani.

La dolorosa e laboriosa tela si tesse e si disfà in una sorta di processione tra Palazzi. Si muovono, si incontrano, parlano, mettono paletti, dettano condizioni. Il Palazzo più congestionato è quello del Quirinale: avrebbe dovuto essere chiuso per ferie invece Giorgio Napolitano è tornato in anticipo e le stanze del Colle sono diventate se non la cabina di regia, almeno la sala di montaggio della manovra “ristrutturata”.

Al Quirinale, nel pomeriggio di giovedì, hanno bussato Silvio Berlusconi, Giulio Tremonti e Gianni Letta.  Ma il capo dello Stato, che una settimana fa aveva parlato anche con Draghi, ha convocato (incontro separato nello stesso giorno) anche due dei leader dell’opposizione, Pierluigi Bersani e Pierferdinando Casini.

Berlusconi, invece, prima di salire da Napolitano insieme a Tremonti aveva ricevuto proprio Mario Draghi, lo stesso che Bossi accusa di essere l’autore, neppure troppo occulto, della “famosa” lettera della Bce.  “E’ stata scritta a Roma”, la dichiarazione del ministro e leader leghista.

 

Lo stesso Bossi, poi, ha avuto a che ridire anche con Tremonti. Battibecco che si consuma a mercati aperti, subito dopo l’intervento del ministro dell’Economia in Parlamento. “E’ stato fumoso” accusa Bossi.  “Più chiaro di così non potevo essere” replica Tremonti. Sta di fatto che i no, oltre a quelli prevedibili e fisiologici di opposizione e parti sociali, arrivano proprio da parte del governo. Bossi in mattinata ha sparato due no e un non so nel giro di cinque minuti: “Eurotassa macchè”, “Patrimoniale roba di sinistra”  e “pensioni non lo so”.  Non un buon segno di unità da parte del governo. Tremonti e Berlusconi provano a cucire e Bossi scuce e quando, come mercoledì sera, gli si chiede una valutazione sull’incontro con il premier spiega che si è parlato di “rotture di coglioni”.

Ma non è solo il Senatur. Prima ancora che si capiscano davvero le intenzioni del governo, già la maggioranza dà segnali di cedimento. Nel pomeriggio di giovedì 11 agosto si registrano le possibili defezioni di quattro deputati “frondisti del Pdl e degli “scissionisti” di Forza del Sud.

I quattro in questione sono Giorgio Stracquadanio, Guido Crosetto, Lucio Malan e Isabella Bertolini e affidano la loro amarezza ad un comunicato che è un atto d’accusa già dal titolo: “Tremonti a dir poco deludente”.  Quanto al contenuto l’accusa a Tremonti è sostanzialmente di attuare provvedimenti da prima Repubblica: “Quando il ministro e’ passato a indicare come raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013 e’ tornato rapidamente al vecchio metodo: come finanziare il deficit con entrate straordinarie, proseguendo in quella politica che ha alimentato il mostro del debito pubblico che oggi ci sta distruggendo”.

Forza del Sud, invece, dopo essere uscita qualche tempo fa dal Pdl si chiama fuori spiegando che Tremonti vuole danneggiare il Mezzogiorno. Orgoglio localista mentre annaspa tutto l’occidente.