Disoccupati con ticket a carico: ultimo refuso dei “tecnici incompresi”

Pubblicato il 19 Aprile 2012 - 20:25 OLTRE 6 MESI FA

Elsa Fornero (Foto Lapresse)

ROMA – E’ bastato uno stringatissimo comunicato del ministero e il dibattito politico del pomeriggio è stato archiviato sotto la voce “refuso”. Il governo tecnico degli incompresi ha colpito ancora, stavolta una fascia debole: i disoccupati e i loro familiari a carico. Alle 15,30, in un pomeriggio politicamente poco carico di eventi, l’Ansa comunica che dal ddl Lavoro era stata cancellata l’esenzione dal pagamento del ticket per le visite specialistiche ai disoccupati e ai loro familiari. Seguono ulteriori spiegazioni secondo le quali l’esenzione veniva soppressa per “disoccupati e loro familiari a carico, appartenenti ad un nucleo familiare con un reddito complessivo inferiore a 8.263,31 euro (incrementato fino a 11.362,05 euro in presenza del coniuge ed di ulteriori 516,46 euro per ogni figlio a carico). La partecipazione alla spesa sanitaria riguarda il pagamento delle prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio e delle altre prestazioni specialistiche, comprese le prestazioni di fisiokinesiterapia e le cure termali”. In compenso venivano lasciate intatte le esenzioni sui ticket sui medicinali.

Passa qualche ora, il dibattito politico a quel punto si accende e un battagliero Pd promette di riportare tutto come prima. Ci vogliono 3 ore perché il ministero del Lavoro, quello di Elsa Fornero, riporti il clima alla normalità con un sostanziale “scusate, ci siamo sbagliati”. Solo un “refuso” secondo la versione del governo: ”Con riferimento alle notizie circa lo stop all’esenzione dal ticket sanitario per i disoccupati” il Ministero del lavoro ”precisa che ha già rilevato il refuso e pertanto dà assicurazione che ne farà oggetto di una proposta emendativa da presentare durante l’iter parlamentare del disegno di legge di riforma del mercato del lavoro”.

I tecnici “incompresi” colpiscono ancora. Stavolta la parola d’ordine è “refuso”, ma fino a oggi ci sono stati vari casi di “parole mal interpretate” o “estrapolate dal loro originale contesto”. Insomma tutte variazioni dello stesso tema. Memorabile il Mario Monti del “posto fisso monotono”. Frase fuggita di bocca durante un’intervista serale e subito rimbalzata su siti, social network e televisioni. Curioso che in un Paese dove un’intera generazione fa i conti solo con lavori precari il premier abbia sentito l’urgenza di stigmatizzare l’italico desiderio del posto garantito, autentica utopia per la fascia di 25-40enni di oggi. Il giorno successivo si è scusato e ha fatto ammenda sulla “frase sbagliata”. Ha avuto un bel da fare poi Anna Maria Cancellieri a cercare di rimediare. Nel tentativo di ridimensionare la polemica ne ha creata una nuova con “I giovani sono fermi al posto fisso nella stessa città, di fianco a mamma e papà”. Il giorno dopo però, nessun passo indietro: intendeva dire proprio quello che sui giornali è stato pubblicato. E che dire della “paccata” di Elsa Fornero? Nel clima arroventato della trattativa coi sindacati sulla riforma del lavoro il ministro si è lasciata sfuggire un’espressione gergale, poco rigorosa. La “paccata” di miliardi che, questo intendeva il ministro, il governo non avrebbe messo sul tavolo se il sindacato non fosse sceso a più miti consigli, è stato argomento per giorni e giorni. Fortunatissima parola su Twitter, virale trend nelle conversazioni che a Monti però è piaciuto poco e che avrà bollato come “errore di comunicazione”.

Stavolta invece salta fuori un “refuso” che però a voler essere fiscali sembra più una gaffe. Da vocabolario si definisce refuso “un errore di stampa causato dallo scambio o dallo spostamento di uno o più caratteri attribuito ad un problema meccanico o ad uno scambio dei movimenti delle dita durante la battitura”. Ma come ridurre l’episodio alla voce “errore di battitura” in presenza di un intero comma di una legge, per giunta ben argomentato? Forse, per la spiegazione, ci viene in soccorso un episodio simile accaduto due anni fa, ai tempi del governo Berlusconi. Il “refuso” in quel caso era tra le nuove norme sulle pensioni. Un intero articolo della riforma che introduceva una novità non di poco conto: l’aggancio del requisito dei 40 anni di contributi all’aumento dell’aspettativa di vita. Insomma anche la massima anzianità contributiva iniziava automaticamente a crescere. ”E’ un refuso, lo togliamo”, disse dopo poche ore il ministro Maurizio Sacconi entrando affannato nella sala stampa di Palazzo Madama. Ma fu Tremonti dopo pochi giorni a dire la verità smentendo il collega: ”non era un refuso ma un tentativo di maggior rigore”. Comunque la norma saltò.

In sintesi, visto il caso Sacconi e l’attuale Fornero, si può sintetizzare così il significato di “refuso” nel vocabolario del politichese: “Dicesi refuso il metodo più elegante per ritirare dal dibattito pubblico una norma rigorista e invisa alla popolazione che, una volta data in pasto all’opinione per valutare l’effetto che fa, si rende colpevole di suscitare poco piacevoli polemiche”.