Torna la “bozza Violante”, Caselli non condivide

Pubblicato il 1 Dicembre 2009 - 14:20 OLTRE 6 MESI FA

A volte ritornano. Parliamo di Luciano Violante, ex presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, che varò nel 2007 un testo per le riforme istituzionali. A due anni dalla nascita della ‘bozza Violante’ e nel bel mezzo di uno scontro sulla giustizia (processo breve, separazione delle carriere dei magistrati ecc.) tra i più duri che si ricordino, ecco che si ri-materializza e prende quota di nuovo l’ex presidente della commissione della Camera, tassello della grande riforma istituzionale di cui si discute da decenni.

Quando fece domanda per il concorso in magistratura, si legge sul Corriere della sera, gli bussò alla porta il maresciallo dei carabinieri, papà di un suo amico e dunque sinceramente preoccupato: “Dottore, lei è del Pci, ma se lo scrivo non la prenderanno mai. Cosa metto come orientament politico?”. Lui gli spieg le sue idee. E il maresciallo nella scheda tradusse: “Partito d’ordine”.

Forse la chiave per capire Luciano Violante e le sue evoluzioni – dal partito delle procure al partito del dialogo, volendo banalizzare vent’anni di storia nazionale – sta qui: nella lotta contro l’entropia, il disordine sempre crescente, nella battaglia contro l’italianissimo tutti contro tutti di un vecchio ragazzo nato in un campo di concentramento inglese in Etiopia, allevato in una famiglia austera e restia agli abbracci, diventato uomo nella Torino di Galante Garrone e alla scuola giuridica di Zagrebelsky, Elia e Grosso, non proprio un posto per divulgatori di barzellette da bar.

Francesvo Cossiga, che coniò per lui il marchio di piccolo Vishinsky, spiega col consueto pragmatismo: “Violante cambiato? Sono cambiati i tempi, non è più il momento delle contrapposizioni frontali ne di usare tutte le armi di cui si dispone contro il nemico; armi che, per il buon Violante, erano i principi di stretta legalità dei magistrati”. Pentito di avergli incollato addosso l’immagine del procuratore dei processi staliniani? “Beh, non lo chiamerei più Vishinsky, non c’è dubbio”, ridacchia il vecchio presidente, che perfidamente ammette come il responsabile delle Riforme del Pd adesso gli faccia piuttosto venire in mente “Winston Wolf, il solutore di problemi di Pulp Fiction”, insomma quello che arriva, ramazza la scena del delitto e se ne va.

Un retropensiero del genere sembra sotteso anche all’ultimo scontro, il ping pong sulla Stampa con Barbara Spinelli a proposito di democrazia e legalità che, tradotto in moneta politica corrente, ripropone l’etemo dilemma del berlusconismo: un premier amato dagli elettori ma sotto botta nelle aule di giustizia può govemare o no? Ed è lecito o no creargli una scappatoia dalle toghe per consentirgli di portare a compimento il mandato? Attaccato senza giri di parole dall’editorialista pi famosa del giomale della sua città elettiva (“do ho dato a questo comportamento il nome di fatalismo, o politica della flaccona, o appeasement ovvero accomodamento. E lei, onorevole?”), l’ex braccio giudiziario del partito di Pecchioli ha eretto a trincea “la prevalenza del principio democratico sul principio di legalità”, che sempre in soldoni si traduce con il trinomio dialogare-dialogare-dialogare (“non come servizio a Berlusconi ma al Paese”, ha spiegato pi volte). Il preannuncio dotto di queste conseguenze finali si coglie già, del resto, sulla copertina del suo ultimo libro, “Magistrati”, laddove, citando Francis Bacon (per i ragazzi italiani del classico, Francesco Bacone) l’ex piccolo Vishinslcy ammonisce i giudici di essere sì leoni ma “leoni sotto il trono”. Chi ci sia oggi sul trono d’Italia è cosa nota. ll punto di ricaduta parrebbe la proposta di far mediare la Corte costituzionale nella babele (e che ll caos abbia fine). Giancarlo Caselli, amico e compagno di mille battaglie, la prende larga spiegando che “democrazia e legalità non sono pianeti diversi”.  “Il consenso della maggioranza dei cittadini è ovviamente decisivo ma non esaurisce ll controllo di legalità affidato a una magistratura indipendente, non aggredita o, peggio, calunniata solo perché adempie i suoi doveri senza privilegi per nessuno…”. Vabbe’, ma Violante? ll procuratore di Torino sospira: “Le cose che ho detto mi sembrano chiare, no? Non sono d’accordo con Luciano, proprio per niente”.

Ed è difficile a questo punto stabilire la vera essenza del postcomunista che nel 96 riabilitata per primo, da presidente della Camera, i ragazzi di Sal ; del partner duro e puro di Caselli che in successive riflessioni ha definito “un’ipocrisia” l’obbligatorietà dell’azione penale e ha evocato i rischi del “govemo dei giudici” nel 2008 dopo aveme paventato lo schiacciamento “sotto la prepotenza della politica” nel 2oo2. Piercamillo Davigo, l’unico del primo pool Mani pulite a essere rimasto magistrato, taglia corto: “Se uno se ne infischia delle leggi, la democrazia non c’è più . Violante cambiato? E’ sempre stato così. Ma non mitiri in questa storia”. Eppure a ogni revisione del violantismo il luciferino Dagospia rispolvera il tormentone “Violante Uno, Violante Due” e i giomali paludati si mettono a rianalizzare un personaggio che a ogni mutazione resta forse sempre uguale, come dice Davigo. A guardare i titoli di sei anni fa l’Italia intera sembra prigioniera di un fermo immagine: Berlusconi premier era alle prese con i fantasmi di Cosa nostra, Pini col voto agli immigrati, un condono faceva imbestialire An, Tremonti litigava con qualcuno (allora era il governatore di Bankitalia, Fa- zio, prima dei furbetti). E poi c’era lui, ancora un po’ Littie Vishinsky, che sparava a palle incatenate: “La mafia oggi non ha paura, per responsabilità del presidente del Consiglio”. L’unico a cambiare idea? Bella forza, in un sortilegio di immobilità chi fa a pugni con l’entropia sembra un tarantolato.