Tremonti spy story: la Procura indaga, Berlusconi si siede sulla riva del fiume

Pubblicato il 30 Luglio 2011 - 21:00 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Da un lato c’è la Procura e di Roma che si prepara ad aprire un fascicolo, dall’altro c’è Silvio Berlusconi pubblicamente silenzioso, quasi le nubi giudiziare che si addensano su uno dei ministri più importanti del suo governo non lo riguardassero.

Giulio Tremonti, invece, è in mezzo al guado alle prese con una vicenda in cui, nonostante le pubbliche spiegazioni e le parziali ammissioni di responsabilità, molte cose sembrano ancora da chiarire. A cominciare da quel “mi sentivo spiato” con cui ha spiegato agli inquirenti perché avesse accettato l’alloggio romano di Mauro Milanese.

Una spiegazione che, più che dare risposte, apre lo spazio per altre domande. Lo ha osservato con cura Sergio Romano sul Corriere della Sera: “Se in queste parole vi è un velato riferimento alla Guardia di finanza, Tremonti non poteva limitarsi a cambiare casa. Quando diffida di un corpo dello Stato di cui è responsabile, il ministro dovrebbe promuovere una inchiesta, accertare i fatti, informare eventualmente la magistratura. Non lo deve soltanto a se stesso. Lo deve ai contribuenti e a una istituzione che ha bisogno, per operare, della fiducia del Paese”.

La pensa evidentemente in modo analogo la Procura di Roma che proprio sulle dichiarazioni del ministro dell’Economia sta per aprire un’inchiesta.  Obiettivo è capire se le “sensazioni” di Tremonti, quelle che lo hanno portato a cercare un rifugio discreto in casa Milanese fossero solo sensazioni o se lo spionaggio ci fosse davvero.

N0n è una sensazione, invece, il gelo di Berlusconi. Mentre Tremonti occupava tutti gli spazi presentando la sua manovra “salva-Italia”, il Cavaliere se n’è rimasto in disparte, salvo poi raccontare che era caduto in bagno. Ora, mentre Tremonti annaspa, se ne sta ugualmente in silenzio. Forse con uno stato d’animo ben diverso.

Scrive su Repubblica Alberto D’Argenio che Berlusconi non ha la benché minima intenzione di “salvare” Tremonti. “Non muoverò un dito per salvarlo” il virgolettato attribuito dal giornalista al premier.  D’Argenio, poi, riferisce di una telefonata gelida: “Dici che devo difenderti perché altrimenti ti dimetti?”, gli dice adirato il Cavaliere. “Se vuoi dimettiti pure, io le tue dimissioni le accetto anche ora!”. E ancora: “Non mi pare che tu in passato ti sia speso molto per difendere me””.

Vero o meno rimane il dato del silenzio che ha il sapore dell’implicito ordine di scuderia. Nel governo la difesa del ministro è tiepida e a parlare è quasi sono Nitto Palma, ovvero l’ultimo arrivato. Sempre D’Argenio racconta di un Berlusconi che avrebbe provato a dire al Quirinale che Tremonti, più che la soluzione, potrebbe essere uno dei problemi dell’economia italiana.  Difficile spiegarlo ai mercati che, dati delle Borse alla mano, sembrano fidarsi molto più di Tremonti che del premier.

Il Cavaliere, però, è lì in riva al fiume in attesa che passi il cadavere (in forma di dimissioni) del suo ministro nemico. A combattere con spread, crisi e tagli, ci si può sempre mettere qualcun altro.