Villa Certosa, Cassazione: foto di Zappadu violarono la privacy di Berlusconi

di redazione Blitz
Pubblicato il 18 Giugno 2015 - 17:06 OLTRE 6 MESI FA
Villa Certosa, Cassazione: foto di Zappadu violarono la privacy di Berlusconi

Villa Certosa, Cassazione: foto di Zappadu violarono la privacy di Berlusconi

ROMA – Villa Certosa, la residenza estiva di Silvio Berlusconi a Porto Rotondo, è una “dimora privata”. Ne consegue che quelle foto “proibite” scattate nel 2007 dal fotografo Antonello Zappadu e pubblicate in parte dal settimanale Oggi, violarono la privacy del padrone di casa e dei suoi ospiti, tra i quali c’era anche l’ex premier ceco Topolanek, ritratto senza veli in giardino. Lo ha stabilito la Cassazione secondo la quale il solo fatto che Berlusconi e i suoi invitati  abbiano tenuto condotte “prive di riserbo” non esclude che il diritto alla privacy del Cavaliere andasse rispettato “a prescindere dal modo in cui lo esercitava il titolare”.

Lo scorso 25 febbraio è scattata la prescrizione e il giudice di Tempio Pausania aveva perciò archiviato il fascicolo e prosciolto Zappadu, accusato di violazione di domicilio e della privacy. Quanto allo scoop del settimanale Oggi i giudici della Cassazione hanno invece annullato, con rinvio alla Corte di Appello di Milano, la condanna a 2.500 euro di multa per ricettazione – la violazione della privacy si era già prescritta – inflitta in secondo grado a Giuseppe Belleri allora direttore del settimanale. Si dovrà chiarire, ha disposto la Cassazione, “se, in presenza di un eventuale utile professionale, anche di natura non economica per sé e/o per l’editore, dette utilità possano integrare il profitto del reato di ricettazione”.

Villa Certosa, il buen retiro di Silvio Berlusconi in Sardegna dove hanno soggiornato anche Tony Blair e Vladimir Putin, è indubbiamente una “dimora privata”, hanno spiegato i giudici, e la circostanza che l’ex premier, nel parco della residenza in Costa Smeralda, abbia tenuto con giovani donne, sue ospiti, atteggiamenti privi di “riserbo comportamentale” non giustifica l’intrusione del teleobiettivo del fotografo.

In sostanza – scrivono gli ermellini – il fatto che Berlusconi abbia agito “senza particolari cautele”, “alla luce del sole” e “con un mare di gente intorno”, tra amici, guardie del corpo e inservienti vari, non significa che avesse deciso di rinunciare alla segretezza delle sue “manifestazioni della vita privata”. Per quanto riguarda chi pubblica foto simili, rubate da un privato domicilio, la Cassazione spiega che l’utilizzo del petshop per ritoccarle e del teleobiettivo per farle, dimostra che le scene immortalate non erano visibili “senza particolari accorgimenti” e che il mezzo di intrusione “era invasivo”. Quindi, in casi del genere, non ci si può difendere sostenendo che “tutto” era “percepibile a occhio umano”.

Lo stesso fotografo autore degli scatti, Zappadu, aveva ammesso – ricorda la Cassazione – di averli fatti a una distanza di circa 150 metri “che consentiva di vedere i comportamenti ma non i volti”. Tuttavia, ad avviso della Suprema Corte, il direttore responsabile della testata che pubblica foto clandestine, acquistate da un terzo, non può essere condannato per ricettazione di scatti proibiti se l’unico fine di lucro individuato dai giudici consiste nell’aumento delle copie vendute per il clamore delle immagini.

Belleri è stato difeso dall’avvocato Caterina Malavenda che ha definito “troppo sbrigativo” individuare il lucro – elemento costitutivo della ricettazione insieme alla consapevolezza – nell’aumento delle vendite, considerando anche che il direttore non fece ulteriore carriera e dopo un anno dallo scoop lasciò la guida del settimanale. Berlusconi, difeso da Nicolò Ghedini, aveva ottenuto complessivamente 10mila euro di risarcimento danni.