Arabia Saudita aiuta Isis e minaccia occupazione in Sardegna

Arabia Saudita aiuta Isis e minaccia occupazione in Sardegna
Arabia Saudita aiuta Isis e minaccia occupazione in Sardegna. Nella foto della Nuova Sardegna la fabbrica d’armi di Domusnovas

Arabia Saudita aiuta Isis e minaccia occupazione in Sardegna. Una fabbrica di armi e bombe, costata per ora 240 milioni di dollari, è appena nata in Arabia Saudita grazie alla collaborazione del Sud Africa e della Germania. Situata ad Al-Kharj, 77 chilometri a sud di Riyad, sta iniziando a produrre bombe da mortaio da 60, 81 e 120 millimetri, proiettili d’artiglieria da  105 e 155 mm e bombe d’aereo da 500 fino a 2 000 libbre, cioè a dire da 227 a 908 chili. 

Promette morte e minaccia occupazione in Sardegna, Italia, dove bombe per i sauditi sono prodotte e spedite.
Lo stabilimento di Al-Kharj, che produce bombe, e in futuro anche armi, è nuovo di zecca e occupa per ora un totale di 130 dipendenti dislocati in 9 edifici: stando alle dichiarazioni di Mohamed Al-Mady, al vertice della Saudi Military Industries Corporation (SAMIC), punta a produrre quanto prima  300 bombe o 600 colpi da mortaio al giorno.
Non si sa se a regime la nuova fabbrica di ordigni di vario calibro escluderà l’Italia dalla fornitura all’Arabia Saudita degli ordigni d’areo del peso di 870 chilogrammi made in Sardinia, fabbricati cioè in Sardegna, per la precisione a Domusnovas. Imbarcati all’aeroporto di Cagliari Elmas, fino a un mese fa ne sono stati sbarcati a Riyad, capitale del regno saudita, 4.960 esemplari. Che i sauditi sganciano senza risparmio nello Yemen,  dove per combattere i ribelli hutu, sciiti, sono impegnati a dare man forte ad Al Qaeda, l’organizzazione fondata dal famoso Bin Laden, cittadino arabo saudita, e che come l’Arabia Saudita è sunnita del ramo wahabita.
Il wahabismo è la parte più retriva dell’islam, ha il Corano come Costituzione e la Sharia come codice civile e penale, che tra le sue pene prevede decapitazioni e amputazioni di mani e di piedi. Le donne sono trattate come oggetti e, tra gli altri diritti negati, non possono guidare l’automobile. Certo non per carenza di benzina, visto che l’Arabia Saudita è un grande produttore di petrolio…
Lo scontro tra fazioni, di fatto una guerra civile strisciante, finora ha prodotto nello Yemen migliaia di morti tra la popolazione civile e grandi devastazioni. I bombardamenti sauditi sullo Yemen sono tali e tanti da avere costretto Riyad a chiedere – ottenendoli – robusti rifornimenti di munizioni da vari Paesi Europei: la britannica Royal Air Force la scorsa estate ha ceduto a Riyad buona parte delle sue riserve di bombe da aereo.  
Inaugurato da Jacob Zuma, presidente del Sudafrica, il nuovo fiore all’occhiello della SAMIC è nato grazie alla  Rheinmetall Denel Munition (RDM), sede in Sud Africa, posseduta al 51% dalla tedesca Rheinmetall Waffe Munition GmbH (RWM) e al restante 49% dalla sudafricana Denel (Pty) Ltd. South Africa. La RDM è controllata dalla Rheinmetall AG di Dusseldorf, la  più grande industria per armamenti tedesca, con filiali un po’ ovunque nel mondo e fabbriche di armi costruite in una quarantina di Paesi. Lo stabilimento di Domusnovas appartiene alla RWM Italia S.p.a., società della quale la Rheinmetall è il principale azionista. 
Poiché è assodato che i sauditi finanziano l’ISIS, vale a dire il cosidetto “Stato islamico” detto anche il “Nuovo Califfato”, esiste in buona sostanza il rischio che gli ordigni prodotti in Arabia Saudita con l’aiuto dei tedeschi finiscano direttamente nelle mani dei terroristi dell’ISIS. E che un domani ci finiscano anche le armi quando il complesso di Al-Kharj dovesse iniziare a produrre anche quelle.
Un fotografo di Human Rights Watch ha fotografato una grossa bomba d’aereo inesplosa nella regione dei ribelli hutu e il numero di serie inciso sull’ordigno indica che è stata prodotta in Sardegna dalla filiale della Rheinmetall RMW Italia. Il parlamento olandese ha approvato una richiesta al Governo di vietare la vendita di bombe e armi all’Arabia Saudita per le sue ripetute violazioni dei diritti umani. Con lo stabilimento di Al-Kharj la monarchia di Riyad compie un primo passo per mettersi al riparo da un eventuale embargo su vasta scala. 
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