NAYPYIDAW – Birmania, Aung San Suu Kyi non si può candidare alla presidenza della Repubblica anche se è a capo del partito che ha trionfato alle ultime elezioni. E così nomina il futuro presidente.
Le trattative con l’esercito per emendare la clausola costituzionale che le preclude la presidenza in quanto madre di due cittadini britannici, non hanno portato a nulla di concreto. Così, dopo l’annuncio dei nomi dei due candidati da parte della “Lega nazionale per la democrazia” (Nld), tutto fa pensare che il nuovo capo di stato sarà Htin Kyaw, un confidente di lunga data della “Signora”.
L’Nld (che gode di un’ampia maggioranza in entrambe le Camere grazie all’80 per cento conquistato a novembre) ha comunicato al Parlamento i nomi di Htin Kyaw e Henry Van Hti Yu, un esponente della minoranza etnica Chin.
Dopo che un terzo candidato sarà selezionato dall’esercito, a cui la Costituzione garantisce un quarto dei seggi parlamentari, il prossimo 18 marzo le due Camere eleggeranno il leader del Paese. I due sconfitti diventeranno automaticamente i suoi vice, e il nuovo esecutivo entrerà in carica il primo aprile.
Il partito di Suu Kyi si è compattato attorno a Htin Kyaw (69 anni), che dirige una fondazione di beneficenza intitolata alla madre della “Signora”.
I legami tra i due sono profondi: sono stati compagni di scuola, e Htin Kyaw, laureatosi a Oxford, ha anche fatto da autista a Suu Kyi durante i brevi intermezzi in libertà nei 15 anni totali agli arresti domiciliari.
L’uomo è anche marito di una deputata dell’Nld, figlio di una delle figure storiche del partito, e genero di un ex portavoce del movimento. In altre parole, è un fedelissimo.
La scelta di un uomo di assoluta fiducia si spiega anche con l’intenzione di Suu Kyi (annunciata già prima del voto di novembre) di essere “al di sopra del presidente”. E’ noto agli osservatori che il premio Nobel per la Pace guida il suo partito con uno stile decisamente accentratore. Così sarà anche sotto un eventuale governo Htin Kyaw, che l’opposizione con a capo l’esercito avrà gioco facile nel definire “manovrato dall’alto”.
Nonostante le pressioni di Suu Kyi per emendare a suo favore la Costituzione, le recenti e ripetute trattative a porte chiuse tra l’Nld e le più alte cariche militari hanno portato a un nulla di fatto.
Gli analisti denunciano un precipitoso calo della fiducia reciproca tra le due parti, con una Suu Kyi ormai convinta che l’esercito non sia interessato a una vera democrazia. Tali dinamiche di potere rischiano di provocare tensioni con le influenti forze armate, che si considerano un bastione dell’integrità territoriale di un Paese dalle 135 etnie riconosciute, hanno enormi interessi economici e sono tuttora impegnati in alcuni conflitti con gruppi ribelli nel nord e nell’est.
Urge però trovare un modo di far durare questa fragile convivenza: tre ministeri chiave (Interni, Difesa e Affari di confine) rimangono nelle mani dei militari, così come uno dei due vicepresidenti. Se si sentiranno scavalcati dall’ambizione di Suu Kyi (si ipotizza che potrebbe diventare ministro degli Esteri), i militari potrebbero sabotare la delicata transizione di una Birmania uscita solo cinque anni fa da mezzo secolo di dittatura.