La Cina alla guerra del petrolio, del pesce e del gas: la sfida della marina che guarda lontano

Pubblicato il 30 Luglio 2011 - 08:34 OLTRE 6 MESI FA

Ufficiali vietnamiti (Ap photo/Lapresse)

PECHINO – I cinesi la chiamano “la difesa del mare lontano”, è l’ultima strategia dell’esercito cinese che sta cercando di proiettare la sua potenza navale ben oltre la sua costa dai porti petroliferi del Medio Oriente, per spodestargli Stati Uniti dal loro primato conquistato negli anni.

Pesce, petrolio e gas: l’assalto del dragone cinese parte con in testa i suoi militari vestiti di bianco. La velocità con cui sta avanzando in organizzazione, strutture e rotte è impressionante. La sua forza è la novità: rompere con la tradizione e sperimentare nuove tattiche. La strategia è una rottura netta da quello tradizionale,  l’importante è non smettere di guardare il proprio obiettivo e rinnovarsi sulla base della forte preparazione che fa parte della memoria storica del gigante cinese.

L’obiettivo dei dirigenti cinesi è avere navi da guerra per scortare le navi mercantili, cruciali per l’economia del Paese, la seconda al mondo dopo gli Stati Uniti. L’area calda è quella che va dal Golfo Persico allo Stretto di Malacca, nel sud est asiatico.

Se prima le battaglie si facevano frontalmente, adesso i cinesi hanno deciso di usare i militari per fare la guerra commerciale in mare senza mai mollare le risorse del Mare cinese e guardando anche oltre l’orizzonte delle zone pattugliate da anni.

Come spiega Edward Wong sul New York Times per valutare bene le dimensioni della sfida cinese non va sottovalutato l’aspetto psicologico: Pechino ha sempre più fiducia nelle sue capacità e lo ha dimostrato  quando ha apertamente minacciato il suo rivale numero uno, gli Stati Uniti, perché non tollerava interferenze straniere nel Mar Cinese Meridionale,

Che l’America fosse preoccupata si era già capito più di un anno fa dalle parole del laconico ammiraglio Robert F. Willard, il comandante delle forze Usa nel Pacifico, che aveva definito “abbastanza drammatica” l’avanzata cinese.

Altro fiore all’occhiello della nuova strategia della marina targata CIna è quello di estendere la sua portata operativa al di là del Mar Cinese Meridionale e alle Filippine per accaparrarsi le isole della zon, rocce e atolli nel Pacifico. Il problema però è che quella zona coincide praticamente tutta con l’area di supremazia della Marina americana.

Davanti a un piano tanto silenzioso quanto invasivo il Giappone scalpita e non nasconde le sue preoccupazioni. Meno di un mese fa Pechino ha chiesto ufficialmente a Tokyo di «ritirare immediatamente le sue barche da pesca dalle acque che circondano le isole Diaoyu», quell’arcipelago di isole che i giapponesi chiamano Senkaku-guntō e Senkaku-rettō, che per Taiwan sono le Tiaoyutai e per gli Usa Pinnacle Islands.

Un militare della marina cinese (Ap photo/Lapresse)

Gli isolotti contesi sono cinque in tutto, nascondo pesce, petrolio e gas e la versione giapponese dell’ultimo dispetto in mare è più o meno questa, come spiega Green Report: una decina di pescherecci di una cooperativa di pesca di Ishigaki, della prefettura di Okinawa (cui Giappone rivendica l’appartenenza delle isole), hanno lasciato il porto per operare nel mare delle Senkaku.

Le Diaoyu in più sono contese anche tra il Giappone e Taiwan, considera dalla Cina una sua provincia. «La Cina detiene una sovranità incontestabile sulle isole îles Diaoyu, che fanno parte integrante della Cina dai tempi più antichi. Gli atti presi dal Giappone nella regione non sono validi», ha detto Hong Lei, portavoce del governo cinese.

Eppure in una recente visita in Cina il ministro giapponese degli Esteri Takeaki Matsumoto ha sollecitato per un accordo formale sul Mar cinese orientale che è suonato come un invito sfruttare insieme le risorse ma senza calpestarsi i piedi.

Ovviamente da Pechino non è arrivato nessun segnale. L’unico è quello di volere andare avanti: infatti l’utima notizia è quella di un super sottomarino cinese, Jiaolong , che potrà raggiungere nel 2012 la profondità di 7.000 metri, stabilendo un record mondiale, come si sono vantati gli scienziati cinesi che hanno effettuato un’immersione di prova nell’Oceano Pacifico raggiungendo i 5.057 metri.

In più a giugno scorso è salita ancora la tensione fra il Vietnam e la Cina per un arcipelago conteso nel Mare Cinese meridionale: a Hanoi (considerato alleato Usa) dove le manifestazioni sono rare, una nuova protesta ha fatto scendere in strada un centinaio di persone davanti all’ambasciata cinese mentre la marina vienamita ha iniziato a fare esercitazioni nel mare cinese al largo dell’isola di Hong On, 40 km a est dalla costa all’altezza del Vietnam centrale. L’esercitazione ufficialmente è stata definita “anti-incendio”, ma sembra che già stiano spirando venti di guerra con il Vietnam partner economico degli Usa e la minaccia sempre più insistente contro Pechino per il possesso delle isole Spratly.