Colombia: a migliaia i “desplazados”, famiglie cacciate dalle loro case

Pubblicato il 21 Dicembre 2009 - 16:04 OLTRE 6 MESI FA

Desplazados colombiani

In Colombia ogni anni migliaia di persone sono “desplazados”, ossia costrette a lasciare la propria casa. Ettore Mo racconta la loro storia sul Corriere della Sera.

Questo esodo inarrestabile è provocato dai diversi conflitti territoriali che vedono in campo in vaste aree della Colombia i due gruppi di guerriglieri, le Farc (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) e l’Eln (Ejercito de Liberacion Nacional), i gruppi di paramilitari di estrema destra (Auc, Autodefensas Unidas), l’esercito regolare ed i narcotrafficanti che gestiscono la coltivazione della pianta della coca.

Il risultato ha portato dal 1985 ad oggi ad avere più di quattro milioni di colombiani costretti a cambiare il luogo in cui vivono pur rimanendo nello stesso paese: la cifra corrisponde a circa il 10% della popolazione. Dopo il Sudan, il paese sudamericano vanta il numero maggiore di “emigrati interni” nel mondo.

Il presidente Alvaro Uribe è riuscito ad assicurare al Paese, dopo quarant’anni di conflitti, un momento di tregua e di pace: durante il suo mandato sono notevolmente diminuiti sequestri di persona e omicidi come anche i suoi oppositori sono pronti a riconoscere. Inoltre, circa 30 mila paramilitari che  avevano sostenuto l’esercito regolare nella lotta alla guerriglia, sono stati smobilitati. Tuttavia, su una popolazione di 45 milioni di abitanti, resta un 68% della popolazione che vive in povertà estrema e soprattutto restano le decine di migliaia di famiglie intere di desplazados. Racconta Nacianceno Villalba, rettore di un Collegio frequentato dai figli delle famiglie benestanti: «Ritengo che il 60-70% di queste persone non possa legittimamente identificarsi come desplazados, si vergognano di esibirsi come tali».

Berta Hurtado è una desplazada. Da un villaggio è andata a vivere in un tugurio: «I paramilitari mi sono piombati a casa, hanno incatenato i miei due figli di 18 e 20 anni e li hanno portati via. Sono stati fucilati, questo oramai è il paese delle vedove e degli orfani». Queste e decine di altre storie si ascoltano girando per la Colombia: una legge emanata nel 1997 prometteva interventi e indennizzi a chi fosse stato costretto ad abbandonare la propria abitazione a causa delle violenze degli uomini della guerriglia e della prepotenza e degli abusi dei paramilitari. Ma anche chi fosse estraneo ad ambedue gli schieramenti correva ugualmente il rischio di essere messo al muro per il semplice sospetto d’essere considerato sostenitore degli uni o degli altri.

Fu quello un periodo di grande ansietà e paura e di febbrile attività del plotone d’esecuzione che funzionava talvolta d un ritmo di una dozzina di persone al giorno. Dallo Stato tuttavia, malgrado la legge, non è arrivato molto, anzi non è arrivato quasi niente. Racconta Juny, 37 anni, sette figli a carico con il più grande che ha 16 anni: «Sono stati quelli delle Farc ad uccide mio marito. Era un grande allevatore. Gli hanno portato via tutte le 350 vacche che aveva. Un mese dopo mi sono messa in marcia e sono arrivata qui. Due ore e mezzo di macchina col cuore gonfio. per la morte di mio marito, vittima di guerra, non mi hanno dato neanche un peso. Ne ho ricevuti invece solo un milione e 300 mila (circa 450 euro n.d.r.) come sussidio per la condizione di desplazada».