Compleanno di Obama presidente: una torta senza candeline

di Lucio Fero
Pubblicato il 19 Gennaio 2010 - 17:28| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Buon compleanno, Obama. Ma è una torta senza candeline. Neanche una si è accesa. Non c’è luce di festa sui posti di lavoro degli americani: quando un anno fa Obama diventa presidente la disoccupazione è al 7,8 per cento. Un anno dopo è al 10 per cento. Non c’è luce che illumina i campi di battaglia di quel che a Washington chiamano “Afpak”. Trentamila soldati in più e ancora ieri i Talebani mettono in atto un “Tet” in miniatura nel cuore di Kabul. E in Pakistan gli Usa vanno avanti, più o meno, solo minacciando quello che non possono: tagliare i fondi al governo. Se lo fanno, crolla il Pakistan che c’è e arriva quello islamista. Se non lo fanno, resta il Pakistan che c’è, una miscela tra ingovernabile e affidabile.

Non c’è chiarore in Medio Oriente: Israele continua a far finta di fare come Obama consiglia ma in realtà fa come gli pare. E la mano tesa dei negoziati rivolta a Teheran è stata lasciata cadere. Ora è già tempo delle sanzioni, sanzioni di dubbia efficacia. L’unica speranza per Washington da Washington non dipende: che il regime iraniano cada per crisi interna.

E ogni fiammella, luminaria e fuoco si sta spegnendo in casa. Gli americani hanno paura delle tasse perchè sanno che il paese si è indebitato. Dimenticano troppo facilmente che il debito è servito ad impedire la bancarotta, non solo delle banche ma di tutta l’economia. Sbagliano a dimenticare e sbagliano a confondere i soldi spesi per le banche con quelli spesi per sgravi e non aumenti fiscali. Sbagliano, ma hanno già dimenticato e si sentono più preoccupato che riconoscenti. Come ogni opinione pubblica tendono a volere tutto e gratis: vogliono una nuova politica energetica, la green economy. Ma se Obama dice loro, tramite il Congresso, quanto costa mantenere l’impegno alla riduzione delle emissioni preso a Copenaghen, allora sbandano e recalcitrano. E “non capiscono” la riforma della Sanità, a buona parte degli americani sembra soprattutto un costo. Non avendo mai conosciuto il diritto civile di una sanità e di una salute indipendente dal reddito, non hanno gran voglia di comprarselo questo diritto, trattano sul prezzo.

Così Obama celebra il suo primo compleanno con la presidenza ammettendo: “Non tutte le promesse di cambiamento sono state mantenute”. E aspettando il risultato delle elezioni in Massachussets, se il seggio senatoriale che era di Ted Kennedy va ai repubblicani, Obama rischia prematuramente il passo “dell’anatra zoppa”. Non avrebbe più in Senato i voti che impediscono alla destra l’ostruzionismo. Destra, quella istituzionale americana che ha risposto alla politica bipartisan di Obama rifiutandola con lo scopo primario di far fallire Obama, anche dovesse “morire Sansone con tutti i filistei”. Destra, quella di opinione negli Usa che osanna e applaude il commentatore-predicatore tv che grida: “Niente soldi ad Haiti e agli haitiani, il loro disastro è una punizione divina, hanno fatto patti con il diavolo”.

Tutte spente le candeline, anche quelle della simpatia: Obama scende nei sondaggi d’opinione al primo anno come forse nessun presidente. I “suoi” gli rimproverano di non essere “un Reagan di sinistra”, cioè uno che decide, sfonda, rischia. I nemici rimproverano poco o nulla, avversano e odiano.

Il grande scrittore Jonathan Franzen, di certo un progressista, così racconta gli Usa di oggi: “Una nazione di bambini capricciosi in preda ad una crisi di nervi, perfino gli attacchi a Tiger era rivolti ad Obama, un voluttuoso pretesto per rimettere al suo posto il black man…Per otto anni Bush ha speso soldi che l’America non aveva e ora tutti arrabbiati perché il party non meritato è finito…Il termometro di questa ostilità è nei cartoon domenicali del Times, apertamente anti-Obama…A Washington sono rimasto colpito dall’atmosfera di pessimismo, amarezza e ansia tra i funzionari della sua amministrazione…Obama dovrebbe smettere di fare il bravo ragazzo”.

Niente candeline dunque e compleanno presidenziale per nulla “happy”. Però la “torta” c’è ancora, anche se gli americani la sbocconcellano di mala voglia. Salvata dalla bancarotta, l’economia è in lentissima ripresa ma, soprattutto, non esiste ricetta liberista anti Obama che possa di nuovo sedurre il consumatore americano. Politiche estere alternative non ce ne sono, a meno di non voler insieme il bombardamento dell’Iran e il ritorno a casa di tutte le truppe sparse per il mondo. La “torta” è che altra “torta” non c’è. Ma Obama deve dar subito, nei prossimi dodici mesi, una “sedia” perché gli americani possano acconciarsi ad assaggiare anche l’amaro di una diminuzione dei consumi privati. La “sedia” sono posti di lavoro. Sotto il nove per cento di disoccupazione le candeline si riaccendono, sotto l’otto riparte la festa, sopra il dieci si chiude la baracca del “we can”.